B&M ANACI LECCO n 06 mar apr 2017

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B U I L D I N G

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M A N A G E M E N T

ANACI LECCO

Laboratorio di idee, progetti e pareri in materia di condominio

Revisione delle tabelle millesimali Contratto di locazione Impianti di climatizzazione Ascensori Manovrina estiva: novitĂ fiscali e sismabonus

Anno II | n. 6 Mar-Apr 2017



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Con oltre duemila lettori, questa rivista raccoglie saggi, pareri e relazioni legali, tecnici e fiscali curati dal nostro Centro Studi lecchese e da professionisti esperti in materia condominiale

Marco Bandini Presidente di ANACI LECCO

SOMMARIO IL PARERE LEGALE

IL PARERE TECNICO

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La revisione delle tabelle dei millesimi: il contesto odierno - Parte seconda

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Climatizzazione estiva: esistono limiti di accensione?

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Il contratto di locazione a uso abitativo: termini e durata

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Inquinamento acustico: la nuova legislazione in vigore

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Il Direttore dei Lavori e l'ambito della sua responsabilità

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La transizione verso un sistema basato sulle fonti rinnovabili

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Condomino in assemblea: partecipare di persona o per delega?

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Sbarchi chiusi ascensori: come affrontarli?

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Il Bed & Breakfast in condominio: evoluzione giurisprudenziale

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Dispositivi di ancoraggio: verifiche periodiche

Avv. Eugenio Antonio Correale Avv. Alberto Sangregorio

Avv. Paolo Motta

Avv. Fabrizio Goretti

Avv. Davide Longhi

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Amarcord

Rubrica a cura di Pierluigi Dell'Oro

Anno 2 | n.6 | Marzo - Aprile 2017

www.anacilecco.it Direttore editoriale Marco Bandini - presidenza@anacilecco.it Direttore responsabile Annalisa Galante - consulentetecnico@anacilecco.it Marketing e diffusione: Periodico bimestrale on-line 5 numeri all’anno - marketing@anacilecco.it

Prof. Arch. Annalisa Galante Ing. Alessio Maggi

Prof. Ing. Gianluca Ruggieri

Ing. Luigi Franceschi

Geom. Simona Frigerio

IL PARERE FISCALE

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Amministratori senza tregua: nuove scadenze fiscali del 2017 Dott.ssa Raffaella Figini

Hanno collaborato a questo numero: Eugenio Antonio Correale, Pierluigi Dell'Oro, Luigi, Franceschi, Raffaella Figini, Simona Frigerio, Fabrizio Goretti, Alessio Maggi, Paolo Motta, Davide Longhi, Gianluca Ruggieri, Alberto Sangregorio Progetto grafico: AGC s.r.l. - Milano © ANACI Provinciale di LECCO via F.lli Cernuschi, 23 - Merate (LC) - tel. 039 9160551 segreteria.presidenza@anacilecco.it Periodico on line non sottoposto a registrazione come previsto dall’Art. 3-bis del D.L. 18 maggio 2012, n. 63 Tutti i diritti sono riservati - È vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione di ANACI LECCO

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Avv. Eugenio A. Correale

IL PARERE LEGALE

Direttore del Centro Studi di ANACI Lombardia e ANACI Milano

La revisione delle tabelle dei SECONDA millesimi: il contesto odierno P A R T E Le opinioni riportate nello scorso articolo (cfr. B&M ANACI LECCO n.05/2017 pag. 2) risalgono a circa quindici anni fa, ma mantengono inalterata validità. Inoltre, servono a meglio muoversi nell’odierno contesto caratterizzato dall’intervento delle Sezioni Unite dell’Agosto del 2010 e sopra tutto dal nuovo testo dell’art. 69 disp. att. c.c. Per effetto della riforma del condominio quanto costituiva frutto di opinioni perspicue appare ormai semplicemente il risultato dell’odierno dettato normativo: "ART. 69 DISP. ATT. C.C. NUOVO CONIO I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi: 1. quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2. quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione. Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'articolo 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni. Le norme di cui al presente articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali". Il nuovo testo si segnala poiché il riferimento ai piani o alle porzioni di piano è stato sostituito dall'espressione che considera il valore delle singole unità immobiliari. Soprattutto: a. al primo comma è richiesta, quale regola generale, l’unanimità per la rettifica o per la modifica dei valori espressi nelle tabelle millesimali; b. al secondo comma, sono contemplate due importanti eccezioni, volte a consentire di rettificare o modificare i valori millesimali con delibere approvate con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio: se i valori millesimali siano conse-

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Di fatto, il nuovo testo di legge, in larga misura aderente alle più recenti indicazioni giurisprudenziali in tema di millesimi di proprietà e della revisione degli stessi, minaccia di costituire innovazione a proposito dei millesimi di gestione

NOTA BENE L'articolo pubblicato in questo numero è la Seconda Parte di una relazione più ampia dell'Avv. E.A. Correale, tenuta a Lecco il 20 febbraio 2017, la prima parte è stata pubblicata sul n.05/2017 di Gen-Feb.

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IL PARERE LEGALE

guenza di un errore o sono alterati per effetto delle mutate condizioni dell’immobile, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici (non è prevista la diminuzione di superfici) o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari; c. la revisione per intervenute modifiche è ammessa se le stesse abbiano comportato alterazione di più di un quinto del valore proporzionale dell’unità immobiliare di un singolo condomino; d. quindi, la novella legislativa statuisce che nella causa avente ad oggetto la revisione delle tabelle “può” essere convenuto unicamente il condominio in persona dell’amministratore, che ne deve dare tempestiva notizia della citazione all’assemblea dei condomini pena la revoca e il risarcimento dei danni; e. apparentemente rivoluzionaria è la chiusa, a mente della quale le disposizioni in discorso si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali. Poiché l’interprete è obbligato a seguire il dato testuale, si deve concludere che l’intera disciplina sulle diverse ipotesi di rettifica e di modifica delle tabelle millesimali deve essere applicata anche alle tabelle per la ripartizione delle spese, anche se contrattuali. Diventa così chiara la singolare scelta espositiva che ha indotto a dedicare numerose pagine a scenari soltanto in apparenza remoti. Di fatto, il nuovo testo di legge, in larga misura aderente alle più recenti indicazioni giurisprudenziali in tema di millesimi di proprietà e della revisione degli stessi, minaccia di costituire fortissima innovazione a proposito dei millesimi di gestione. Il concetto di revisione per errore e per ANACI LECCO n.6 | Mar-Apr 2017

innovazioni del contesto fattuale, del tutto naturale quando si tratti di un prospetto principalmente destinato a riflettere circostanze di fatto, risulta largamente travolto quando sia riferito a un contratto. L’errore che inficia il calcolo dei millesimi costituisce dato oggettivo, che a buona ragione può essere fatto valere senza limiti di tempo. L’errore che inficia un contratto si presenta invece come “vizio della volontà” e quindi dovrebbe seguire la disciplina detta in via generale per i contratti, che prevedono particolare azione di annullamento che si prescrive in cinque annui.

La confezione della tabella dei millesimi di proprietà L’articolo 1138 c.c. prescrive: "Primo comma: Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione". L’articolo 68 disp att. c.c. prescrive: "Primo comma: Ove non precisato dal titolo ai sensi dell'articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Secondo comma: Nell'accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare". La legge non contempla, quindi, alcuna speciale disciplina per la compilazione della tabella dei millesimi e in mancanza di fonti normative la prassi ha talvolta usato la circolare del Ministero del Lavori Pubblici 12480 del 1966, dalla quale si estrapola la seguente previsione: "Di fatto, le norme da considerare derivano dall’art. 68 disp. att. c.c. e dalla circolare 12480 / 1966 del Ministero dei Lavori Pubblici". La giurisprudenza non è mai entrata nella disamina dei criteri di calcolo e quando ciò è accaduto i risultati non sono stati confortanti: la sentenza n.1615/1948 ha sostenuto che non si devono considerare le superfici relative al non costruito. Nel 2007 il principio è stati ribaltato e la Corte di Cassazione ha stabilito: "Ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva (quali l'estensione, ampiezza, numero dei vani) che gli elementi estrinseci (quali l'ubicazione, l'esposizione, l'altezza), nonché le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive, tra le quali possono essere considerati i giardini in proprietà esclusiva di singoli condomini, in quanto consentono un migliore godimento dei singo-

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IL PARERE LEGALE

li appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell'immobile". Cass. civ., Sez. II, 27/07/2007, n. 16644. Si riproporranno nel seguito alcune considerazioni che appaiono di particolare utilità, anche pratica. Per le tabelle dei millesimi di proprietà Il Terzago (Il Condominio, pag. 598) avverte che l’articolo 68 disp att. c.c. si limita a dettare indicazioni negative (“nell'accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano”) mentre il Rizzi osserva che procedimento simile è stato istituito a proposito della divisione degli immobili in comunione, per i quali non si considerano le migliorie apportate dal proprietario. Sempre Terzago avverte che occorre considerare in primo luogo la superficie reale oppure il volume reale, quando i vani siano di diversa altezza e rileva che nel silenzio del codice si finisce per assumere quale norma di riferimento la circolare 12480 del 26 marzo 1966, che ha sostituito la precedente normativa, anche essa dettata per i collaudi degli edifici realizzati da cooperative a contributo statale. Il Merello (pag. 112 e segg., opera citata) avverte che la elaborazione di una tabella è un fatto estimativo, soggetto alla valutazione discrezionale del professionista che la elabora e suggerisce il seguente procedimento di calcolo: 1) si assumono a base dei conteggi le dimensioni dell’alloggio nel senso che si procede al calcolo dell’area ( se siamo in presenza di un edificio che ha tutti i vani di altezza costante) di ogni locale che costituisce l’unità immobiliare, oppure si procede al calcolo del volume di ogni locale ( se siamo in presenza di edifici con piani di altezza diversa fra loro: esempi classici sono certi edifici signorili ottocenteschi dove al piano nobile di altezza modesta si alternano gli ammezzati di altezza ben più modesta) 2) si procede alla ricerca della superficie o del volume convenzionale o virtuale di ogni vano e poi di ogni unità immobiliare, individuando innanzitutto i coefficienti di differenziazione da adottare. Occorre storicizzare qualsivoglia coefficiente, poiché negli anni muta l’apprezzamento di talune caratteristiche ed anche delle stesse destinazioni d’uso. Si pensi ai negozi che negli anni cinquanta erano molto appetibili, talché li si premiava con coefficiente di destinazione due, mentre oggi al più possono valere come gli appartamenti: coefficiente uno o anche deteriore. Il Merello considera i seguenti coefficienti: a) coefficiente di destinazione: considera la utilizzazione diversa dei vani e della intera unità immobiliare. Il Forte (Determinazione dei millesimi, 1963, edizione Calderoli) riporta coefficienti da 0,75 a 1. Il Mari considera:

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1) per i negozi; coefficiente 2; 1,5; 1, secondo la potenzialità commerciale della via ( alta, media, bassa). Oggi, come si è detto, si dovrebbe andare da coeff. 1 a coeff. 0,90); 2) per i laboratori: 1; 0,80, secondo il livello di traffico della strada; 3) per i magazzini: 0,60; 0,80, rispettivamente, se interrati o al piano terreno; 4) per gli uffici e per gli appartamenti: 1; 5) per i box: 1; 0,75, rispettivamente, se interrati o al piano terreno; 6) per i posti auto: da 0,30 a 0,20; 7) per le cantine: 0,25 ( 0,40, per un'improbabile cantina al piano terreno); 8) per le soffitte: 0,30. b) coefficiente di piano: ovviamente muta se vi è l’ascensore o meno. Nelle case senza ascensore non comporta riduzione solo per il primo piano. Negli altri casi, secondo il Mari, vi saranno riduzione variabili da 0,75, l’interrato a 0,88, per il sesto piano. Nelle case con ascensore, la diminuzione è identica per l’interrato, mentre per i piani serviti vi sarà una progressione dei coefficienti molto meno drastica (da 0,91 per il primo piano a 0,98 per 1 per i piani alti. Al solito il Forte, indica coefficienti molto meno incisivi (da 0,90 a 1,07); c) coefficiente di orientamento: almeno in questo caso, si preferisce il sud al nord, ma la oscillazione varia da 1( nord) a 0,95(sud), Si deve segnalare, però che il Forte penalizza molto di più il lato Nord, ; d) coefficiente di prospetto: varia da 1, per l’affaccio panoramico, a 0,80 per il prospetto su un cavedio; e) coefficiente di luminosità: indica la quantità di luce della quale gode ciascun vano e, ovviamente, è in funzione delle finestre o delle altre aperture. Varia da 1 a 0,95. Per i millesimi di proprietà nel

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IL PARERE LEGALE

supercondominio La necessità di confezionare specifiche tabelle si è ravvisata quando la Corte Suprema ha dichiarato la nullità delle assemblee composte dai cosiddetti rappresentanti (sentenze 8 agosto 1996, n.7286; 13 giugno 1997, n.5333; 6 dicembre 2001, n.15476). In precedenza era frequente che le assemblee fossero condotte conteggiando i voti di ogni edificio, cumulativamente rappresentato dall’amministratore o dal delegato, ma dopo la presa di posizione della giurisprudenza si è dovuto dare corso al conteggio dei voti espressi per la prima volta dai singoli condomini. La difficoltà era più apparente che reale, poiché non si poteva dubitare che occorreva procedere a un computo che tenesse fede al rapporto dei valori di ciascun edificio, già acquisito perché già prima gli amministratori portavano appunto quel valore. Ovviamente, erano aumentate le teste, poiché in luogo di conteggiare una testa per ciascun edificio si doveva considerare ciascuno dei partecipanti. I millesimi, invece, implicano solo un piccolo conteggio aritmetico. Ipotizzando che Paolo sia condomino con 100 millesimi dell’edificio B, portatore di 374 millesimi nella assemblea generale (nella quale appunto il delegato di casa votava con 374 millesimi) Paolo esprimerà il proprio voto che sarà così conteggiato: una testa, sul totale dei partecipanti al condominio complesso; con 37,4 millesimi. Il Tribunale di Milano si è già occupato di fornire precedenti utili a risolvere talune situazioni e ha affermato: “Nel supercondominio la ripartizione delle spese comuni deve essere effettuata mediante la determinazione del valore di ogni edificio all'interno del supercondominio e la formazione di tabelle millesimali che ripartiscano la quota dell'edificio tra i singoli

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proprietari in proporzione del valore delle singole unità immobiliari (nella specie è stata pronunciata la nullità della norma del regolamento del supercondominio, non approvato all'unanimità, che aveva previsto la ripartizione delle spese per metà in parti uguali tra tutti condomini e per metà secondo i valori degli appartamenti)". Tribunale di Milano, 24 marzo 2003, Maestranzi/ConsorzioC.R.B. Resta non affrontato il problema di quei complessi nei quali i millesimi di proprietà non esistevano, come nelle cosiddette Centrali Termiche per le quali esisteva unica tabella, adoperata tanto per le votazioni assembleari quanto per suddividere i consumi e quindi le spese tra i partecipanti. In quei condominii si deve ritenere che l’unica tabella indichi l’unico rapporto rilevante e che debba essere adottata anche per le votazioni, così come si faceva quando l'assemblea era quella dei delegati. Per i millesimi di proprietà nel condominio parziale Non si devono affrontare particolari difficoltà e si deve semplicemente amputare la tabella espungendone partecipanti (teste) e millesimi, in relazione alla porzioni che non concorrono a costituire la maggioranza. Per i millesimi di gestione È l’unico argomento che non consente le soluzioni auspicate dagli amministratori, i quali legittimamente attendono risposte chiare e indicazioni precise. Il nuovo dettato dell’art. 69 ultimo comma disp.acc. apre ogni possibile soluzione. Ma la possibilità che una delibera a maggioranza modifichi “la diversa convenzione” delineata dall’art. 1123 c.c. risulta ancora scarsamente concepibile. Pertanto, appare prudente ritenere che i millesimi di spese generali possono essere approvati modificati o anche eliminati sempre con l’approvazione unanime dei condomini.

La giurisprudenza utile Si ritiene di dovere imprimere una decisa svolta alle presenti note, che sin qui hanno avuto quale ispirazione la necessità di conoscere le grandi questioni di fondo e che da adesso in avanti si limiteranno a considerare gli insegnamenti giurisprudenziali. Più esattamente, si riprenderanno soltanto quelle sentenze che possono servire quale utile supporto operativo e si evidenzierà: a. quanto alla derogabilità dei criteri dettati dall’art. 68 disp. att. c.c.:"I criteri legali sanciti dall'articolo 68 delle disposizioni di attuazione del c.c. per la determinazione della caratura millesimale dell'edificio condominiale sono sicuramente derogabili dalla volontà di tutti i condomini, perché attengono a diritti dei quali essi possono liberamente disporre; e se i condomini, nell'esercizio della loro autonomia privata, stipulano una tabella millesimale

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diversa da quella che conseguirebbe all'applicazione degli anzidetti criteri legali, deve ritenersi che tale diversità essi abbiano voluto, e che queste ultime, per l'appunto, diversità sono, e non errori emendabili ai sensi dell'articolo 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile" Tribunale di Genova sentenza 23 febbraio 2004; b. quanto all’impugnazione delle tabelle: "In tema di condominio e tabelle millesimali, ciascun condomino, al fine di far valere errata applicazione delle tabelle millesimali ha l'onere di impugnare nel termine di cui all'art.1137 c.c. le delibere relative chiedendone l'annullamento. In caso contrario dette delibere diventano inoppugnabili" App. Lecce Taranto, 11/01/2017; c. quanto alla revisione a maggioranza: "In materia condominiale l'approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali non comporta inconvenienti di rilievo nei confronti dei condomini, in quanto, nel caso di errori nella valutazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, coloro i quali si sentono danneggiati possono chiedere, senza limiti di tempo, la revisione ai sensi dell'art. 69 disp. att. al c.c." Corte di Appello Lecce Taranto, 28/08/2014; d. quanto alla revisione delle tabelle approvate all’unanimità: "L'atto di approvazione delle tabelle millesimali, come quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, di conseguenza la revisione delle tabelle anche se di origine contrattuale non deve essere approvata con il consenso unanime dei condomini, ma è

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sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2 cod. civ." Cass. civ., Sez. II, 12/02/2014, n. 3221; e. quanto alla approvazione delle tabelle: "In materia di condominio, va chiarito che le tabelle millesimali - oltre a non assumere la valenza tipica dei negozi di accertamento - non valgono neppure quale fonte o quale criterio per dimensionare i diritti individuali, né incidono sulla consistenza delle suddette posizioni reali, avendo la sola funzione di stabilire il valore di tali unità rispetto all'intero edificio ai soli fini della gestione del condominio" Trib. Salerno, Sez. I, 07/06/2013; f. quanto alla teoria del negozio di accertamento: "l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomi-

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ni, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all' art. 1136, comma 2, c.c." Cass. civ., Sez. II, 26/02/2014, n. 4569; g. quanto alle maggioranze per l’approvazione o per le revisione (quest’ultima solo per errore o innovazioni): "L'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, per cui esso non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma secondo, c.c." Cass. civ., Sez. II, 13/05/2013, n. 11387 h. quanto ai presupposti per l’azione giudiziale di revisione: la legittimazione all’azione di revisione: "In tema di condominio, il diritto di chiedere la revisione delle tabelle millesimali è condizionato dall'esistenza di uno o di entrambi i presupposti indicati dalla legge, vale a dire l'errore o l'alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano e, in base alla regola generale dell'onere probatorio, la prova della sussistenza delle condizioni che legittimano la modifica incombe su chi intende modificare le tabelle, quanto meno con riferimento agli errori oggettivamente verificabili" Cass. civ. Sez. II, 14/12/2016, n. 25790; i. quanto alla revisione delle tabelle approvate dall’assemblea: "L'atto di approvazione delle tabelle millesimali non preclude al condomino che le ha approvate di potere chiedere la loro revisione" Cass. civ., Sez. II, 25/09/2013, n. 21950; j. quanto ai motivi da addurre per la revisione giudiziale ed alle spese di lite: "È ravvisabile il presupposto giuridico di cui all'art. 69, n. 2, disp.

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att. cod. civ., per chiedere l'adozione di nuove tabelle millesimali di proprietà , ogniqualvolta a seguito di interventi significativi, quali a titolo esemplificativo frazionamenti, passaggi di proprietà, modifiche, cambi di destinazione ed ampliamenti costruttivi, venga accertato di fatto che le tabelle millesimali esistenti per la ripartizione millesimale non trovano alcun riscontro con lo stato attuale di tutte le proprietà facenti parti del complesso condominiale. Nelle cause aventi a oggetto l'adozione di nuove tabelle millesimali di proprietà, poichè è interesse di tutti i condomini addivenire a una revisione di tali tabelle rispettosa della proporzione tra il valore dell'intero edificio ed il valore delle singole unità immobiliari che lo compongono, le spese di giudizio e di CTU, resesi necessarie in corso di causa, devono essere poste a carico di tutti i condomini con ripartizione pro quota millesimale di proprietà. Poiché la revisione della tabelle millesimale di proprietà determina una conseguente modificazione dei diritti dipendenti dalla comunione delle parti dell'edificio condominiale che sono di proprietà esclusiva, la sentenza, con la determinazione per ogni singola unità immobiliare della quota millesimale specificatamente risultante dalla nuova tabella adottata, deve essere soggetta a trascrizione ai sensi degli artt. 2634, nn. 3 e 14 e 2657 cod. civ." Trib. Milano, Sez. XIII, 14/06/2013 k. quanto alla inammissibilità della revisione che si fondi sul mutamento coefficienti soggettivi: "In tema di condominio di edifici non comportano la revisione o la modifica delle tabelle millesimali i mutamenti successivi alla loro adozione dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell'edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l'edificio" Cass. civ. Sez. II, 04/10/2016, n. 19797; l. quanto alla inammissibilità della revisione che si fondi sul mutamento coefficienti soggettivi: "In materia di condominio di edifici, costituiscono errori essenziali, suscettibili di dar luogo a revisione delle tabelle millesimali, gli errori che attengano alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l'estensione, l'altezza, l'ubicazione), siano essi errori di fatto o errori di diritto. Non possono, invece, qualificarsi tali gli errori determinati soltanto dai criteri più o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta" Tribunale di Campobasso, 12/09/2014; m.quanto alla ammissibilità della revisione che si fondi su errore: "In materia di condominio di edifici, costituiscono errori essenziali, suscettibili di dar luogo a revisione delle tabelle millesimali, gli errori che attengano alla determinazione degli elementi

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necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l'estensione, l'altezza, l'ubicazione), siano essi errori di fatto o errori di diritto. Non possono, invece, qualificarsi tali gli errori determinati soltanto dai criteri più o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta" Trib. Campobasso, 12/09/2014 n. quanto alla revisione fondata sulla divisione di unità immobiliari: "Il condomino può dividere il suo appartamento in più unità ove da ciò non derivi concreto pregiudizio agli altri condomini, salva eventuale revisione delle tabelle millesimali; non osta che il regolamento contrattuale del condominio preveda un certo numero di unità immobiliari, qualora esso non ne vieti la suddivisione" Cass. civ. Sez. II, 24/06/2016, n. 13184; o. quanto alla vigenza nuove tabelle: "In tema di condominio, la sentenza che accoglie la domanda di revisione e/o modifica delle tabelle millesimali non ha natura dichiarativa ma costitutiva, con la conseguenza che l'efficacia di tale sentenza, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, decorre dal suo passaggio in giudicato" App. Milano Sez. III, 16/02/2016; p. quanto alla nozione di errore ai sensi dell’art. 69 disp. att.c.c.: "L'errore che ai sensi dell'art. 69, disp. att. c.c. giustifica la revisione delle tabelle millesimali del condominio di edifici, non coincide con l'errore quale vizio del consenso, ma consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale a esse attribuito nelle tabelle. La norma in considerazione, invero, considera l'errore nella determinazione dei valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano come causa di revisione delle tabelle e non anche come causa di annullamento delle stesse. Tale principio trova applicazione anche in ipotesi di tabelle millesimali di formazione negoziale" Tribunale di Ivrea, 03/06/2013; q. quanto alla revisione per errore: "In tema di condominio di edifici gli errori rilevanti ai fini della revisione delle tabelle oltre ad essere causa di apprezzabile divergenza tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari ed il valore effettivo delle stesse, devono essere obiettivamente verificabili (ad es.: divergenze di estensione della superficie, di piano e simili), restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza (ai fini dell'errore) dei criteri soggettivi (ad es.: d'ordine estetico e simili) nella stima degli elementi necessari per la valutazione ex art. 68 disp. att. c.c." Cassazione civile sentenza n. 19797 del 4 ottobre 2016; r. quanto alla nozione di errore rilevante: "In materia di condominio di edifici, costituiscono errori essenziali, suscettibili di dar luogo a revisione delle tabelle millesimali, gli errori che attengano alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l'estensione, l'altezza, l'u-

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bicazione), siano essi errori di fatto o errori di diritto. Non possono, invece, qualificarsi tali gli errori determinati soltanto dai criteri più o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta" Tribunale di Campobasso, 12/09/2014; s. quanto alla revisione per errore per divergenze o discrasie di apprezzabile consistenza: "In tema di condominio di edifici gli errori rilevanti ai fini della revisione delle tabelle oltre ad essere causa di apprezzabile divergenza tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari ed il valore effettivo delle stesse, devono essere obiettivamente verificabili (ad es.: divergenze di estensione della superficie, di piano e simili), restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza (ai fini dell'errore) dei criteri soggettivi (ad es.: d'ordine estetico e simili) nella stima degli elementi necessari per la valutazione ex art. 68 disp. att. c.c." Cassazione civile sentenza n. 19797 del 4 ottobre 2016; t. quanto alla revisione per errore per divergenze o discrasie di apprezzabile consistenza: "nel caso in cui venga chiesta la revisione delle tabelle millesimali, l'errore o gli errori lamentati devono, dunque, oltre che essere causa di una divergenza apprezzabile tra i valori posti a base della redazione delle tabelle e quello allora effettivo, risultare anche oggettivamente verificabili in base agli elementi sui quali il valore in quel momento doveva Nel caso in esame, è indubbio che i condomini, accettando le tabelle in esame contestualmente alla stipula dei contratti di compravendita, abbiano inteso determinare quantitativamente la portata dei propri diritti e obblighi di partecipazione alla

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vita del condominio. Quindi, secondo la giurisprudenza richiamata, l'errore suscettibile di determinare la revisione delle tabelle millesimali, a norma dell'art. 69 disp. att. c.c., è quello che comporta una obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto" Cass. n. 21950 del 25/09/2013; u. quanto alla revisione per errore per divergenze o discrasie di apprezzabile consistenza: "aderendo ad altro costante orientamento della S.C., la modifica delle tabelle può comunque aver luogo solo ove l'obiettiva divergenza tra il valore delle singole unità immobiliari ed il valore, proporzionale a quello dell'intero edificio, attribuito loro nelle tabelle medesime, non sia di modesta entità" Cass. 19.2.99 n. 1408, 13.9.91 n. 9579; v. quanto al momento di applicabilità delle nuove tabelle: "In tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclu-

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siva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell'edificio vanno individuati con riferimento al momento dell'adozione del regolamento e la tabella che li esprime é soggetta ad emenda solo in relazione ad errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell'edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull'originaria proporzione dei valori. Pertanto, in ragione dell'esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, nè i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell'edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l'edificio" Cass. civ., Sez. II, 10/02/2010, n. 3001; w. quanto alla tabella dei millesimi di supercondominio: "Laddove esista un supercondominio devono esistere due tabelle millesimali: la prima, riguarda i millesimi supercondominiali e stabilisce la spartizione della spesa non tra i singoli condomini, ma tra gli edifici che costituiscono il complesso; la seconda tabella, è invece quella normale interna a ogni edificio" Cass. civ., Sez. II, 14/11/2012, n. 19939.

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Avv. Alberto Sangregorio

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Il contratto di locazione a uso abitativo: termini e durata In tema di durata delle locazioni a uso abitativo, è bene conoscere quanto stabilito dal codice civile e quanto introdotto dalla Legge 431/98 in materia. In particolare, nel codice civile, la durata del contratto di locazione è demandata totalmente all’autonomia contrattuale, nel senso che le parti sono libere di determinare, a fronte del raggiunto accordo, il temine di scadenza della locazione (salvo il limite di durata di 30 anni, che tuttavia non opera per quanto riguarda le case di abitazione per le quali addirittura la durata potrebbe essere pari alla vita stessa del conduttore). Nelle locazioni escluse dalla normativa di cui alla legge 431/98 (ad es. le locazioni con finalità turistiche, i box, le aree nude, le cantine e i depositi), dunque, la legge interviene con una determinazione legale della durata, solo se nel contratto manchi un’espressa previsione della scadenza, stabilendo dei termini differenti a seconda della natura dell’oggetto della locazione (1 anno per le locazioni di case d’abitazione o il periodo di riferimento per la determinazione della pigione per le case ammobiliate). Con la L.431/98, invece, è stato introdotto un regime vincolistico, quanto alla durata delle locazioni ivi regolate, a mezzo di norme di natura imperativa, secondo le quali le parti non potranno stipulare contratti se non con la durata di anni 4 automaticamente rinnovabili di altri 4 anni ( art.2 comma 1 canone libero) o di anni 3 automaticamente rinnovabili di anni 2 ( art.2 comma 5 canone concordato) o di durata compresa tra 1 e 18 mesi, ove stipulati per soddisfare comprovate esigenze di carattere transitorio, o da 6 mesi a 3 anni per studenti universitari ( art.5 commi 1 e 2). Per le locazioni soggette alla disciplina del codice civile la disdetta non è necessaria (salvo per il caso in cui le parti non abbiano stabilito una scadenza e la stessa sia stata determinata per legge), mentre per quelle soggette alla disciplina di cui alla L.431/98, per poter far cessare, alla scadenza, un contratto di locazione è necessario, sia per il locatore che per il conduttore inviare, a mezzo lettera raccomandata, una disdetta con preavviso di 6 mesi, contenente la manifestazione di volontà finalizzata alla cessazione del rapporto. Tuttavia alla prima scadenza contrattuale (cioè al primo quadriennio o al primo triennio), la legge 431/98 prevede che il rinnovo non possa essere impedito, da parte del locatore, con la semplice manifestazione di volontà contraria, essendo invece indispensabile corredare la volontà di denegare il rinnovo alla prima scadenza con

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Nel codice civile, la durata del contratto di locazione è demandata totalmente all’autonomia contrattuale, nel senso che le parti sono libere di determinare il temine di scadenza della locazione. Con la legge 431/98, invece, cambia tutto

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le motivazioni espressamente previste all’art.3 (ad es. l’uso personale o di un parente fino al secondo grado, vendita, integrale ristrutturazione, ecc.); quanto al conduttore, invece, questi sarà libero di disdettare il contratto anche alla prima scadenza, senza necessità di motivazione alcuna. Alla seconda scadenza contrattuale entrambe le parti saranno invece libere di disdettare il contratto, con il semplice invio di disdetta con preavviso di 6 mesi, senza necessità di alcuna motivazione, o di lasciare che si rinnovi tacitamente oppure, infine, di porre in esser la procedura del rinnovo a nuove condizioni. Entrambe le parti dunque avranno la facoltà di dar corso alla procedura di cui sopra secondo le previsioni di cui all'art. 2, primo comma, legge n. 431 del 1998. Anche la procedura di rinnovo a nuove condizioni, così come il diniego di rinnovazione alla prima scadenza o la disdetta relativa alle scadenze successive, deve esser attivata mediante l’invio di lettera raccontata che deve pervenire all’altra parte 6 mesi prima della scadenza contrattuale, pena la tacita rinnovazione del contratto alle medesime condizioni del rapporto in essere. In tale comunicazione il proponente dovrà indicare la propria volontà di concludere un contratto a nuove condizioni, nonché quali siano le condizioni che egli offre all’altro contraente e che dovrebANACI LECCO n.6 | Mar-Apr 2017

bero costituire l’oggetto del nuovo contratto. È facile ipotizzare dunque che, ove una delle parti non si limiti a lasciare che il contratto, in assenza di iniziativa, si rinnovi alle medesime condizioni di quello in corso, ma si attivi con la procedura di rinnovo a nuove condizioni, ciò farà, evidentemente, per proporre la stipulazione di un nuovo contratto a un canone inferiore rispetto a quello in corso, se sia il conduttore ad assumere l’iniziativa, o a un canone superiore, se a proporlo sia il locatore. La parte che abbia ricevuto dall’altra parte contrattuale la comunicazione, a mezzo raccomandata, dell’intenzione di rinnovo a nuove condizioni dovrà, secondo le previsioni di cui al primo comma dell'art. 2 della legge n. 431/98, entro sessanta giorni dalla ricezione della raccomandata, rispondere alla richiesta fornendo il proprio assenso o il proprio dissenso rispetto alla proposta ricevuta. In caso di risposta positiva il contratto in essere, alla sua scadenza, si intenderà cessato e tra le parti verrà stipulato un nuovo contratto, avente valore novativo rispetto al precedente, cosicché lo stesso dovrà intendersi, quanto alla sua durata e ad alla disciplina del rinnovo automatico alla rima scadenza, a tutti gli effetti quale un nuovo contratto totalmente autonomo dal precedente. Ove la parte interpellata rispondesse invece manifestando il diniego a stipulare un nuovo contratto alle condizioni proposte, il rapporto verrà a cessare alla sua naturale scadenza senza necessità di altre comunicazioni, e ciò avverrà anche in caso di mancata risposta rispetto all’invito alla nuova contrattazione. Nell’ipotesi in cui il contratto in corso, alla sua naturale scadenza, dovesse prorogarsi per effetto della mancanza di iniziativa delle parti circa la procedura di rinnovo alla prima scadenza o per mancato invio della disdetta in tempo utile, il contratto originariamente stipulato si considererà prorogato per uguale durata, dovendosi ritenere, per uguale durata, il solo quadriennio, senza più l’applicabilità del meccanismo del rinnovo automatico alla prima scadenza, così come affermato da un orientamento giurisprudenziale che pare essersi sempre più consolidato (cfr. Cass. 1 febbraio 2016 n. 1881). Si dovrà dunque qualificare quale prima scadenza, ai fini del rinnovo automatico, solo quella che si verifica alla scadenza del primo quadriennio contrattuale e non più quelle che successivamente si verificheranno per effetto del rinnovo tacito del rapporto intervenuto dopo i primi 8 anni di locazione. Uguale ragionamento ha da valersi anche per le locazioni a canone concordato, le quali dopo essersi rinnovate automaticamente di 2 anni dopo la prima scadenza triennale, si rinnoveranno, in assenza di disdetta, con cadenza triennale al cui termine, sia il locatore che il conduttore, potranno far cessare il contratto con il semplice invio di disdetta priva di alcuna motivazione.

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Avv. Paolo Motta

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Il Direttore dei Lavori e l’ambito della sua responabilità Qualora l’assemblea condominiale deliberi di procedere all’esecuzione di interventi edili, è fondamentale scegliere con ponderazione non solo l’impresa appaltatrice, ma anche il professionista cui conferire la direzione dei lavori, ossia il soggetto preposto alla verifica dell’esecuzione e regolarità dei lavori, c.d. D.L. Infatti, a mente dell’art. 1662 c.c. “il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato”, scegliendo i tempi e i modi della verifica, oltre che le persone attraverso cui effettuarla" (Cass. Civ. 6218/91). A seconda degli interventi da realizzare, salvi gli obblighi ex lege, sarà quindi facoltà del Condominio stesso valutare a quale specifico professionista (Ingegnere, Architetto, Geometra, ecc.) affidare tale compito di controllo e di verifica. In generale, al Direttore dei Lavori è attribuita la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell’appaltatore, mediante la vigilanza della conformità dell’opera al progetto, realizzato dal progettista, al capitolato e alla buona tecnica. Detta attività, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere, comporta una obbligazione di mezzi, consistente nel controllo da effettuarsi non con la diligenza ordinaria, bensì con una diligenza maggiormente qualificata, la c.d. diligentia quam (Tribunale di Bari, sezione II, 09.06.2014) Di regola, quindi, il professionista risponde per culpa in vigilando, ossia per omessa o insufficiente sorveglianza, essendo invece imputabile al solo appaltatore l’omessa rilevazione di eventuali carenze o di possibili difetti del progetto. Da quanto sopra deriva che, usualmente, il Direttore Lavori non è corresponsabile – con l’appaltatore - della fattibilità dell’opera. Conseguentemente, egli risponderà “solo verso il committente a norma dell’art. 2236 c.c. e, pertanto, ove abbia esercitato il compito suddetto, non può essere ritenuto responsabile con l’appaltatore dei danni derivanti al committente per difettosa esecuzione dell’opera e dall’imprudente svolgimento dei lavori diretti al compimento di essa” (Cass. Civ. 18285/2016 – Cass. Civ. 3051/1980). Dunque, ai sensi della richiamata norma, qualora la prestazione abbia implicato la risoluzione di problemi tecnici di speciale gravità, il prestatore d’opera non risponderà dei danni, salvo che abbia agito con dolo o colpa grave. Il principio summenzionato e le limitazioni che comporta, tuttavia, non è esente da eccezioni.

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In generale, al direttore dei lavori è attribuita la funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell’appaltatore, mediante la vigilanza della conformità dell’opera al progetto, realizzato dal progettista, al capitolato e alla buona tecnica

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Infatti, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, le parti possono pattuire una più ampia sfera d’azione del direttore dei lavori. Nella pratica accade di sovente che il professionista incaricato della progettazione sia anche onerato della vigilanza dei lavori. Tale prassi è stata confermata dalla stessa giurisprudenza, la quale, in una recente pronuncia, ha statuito che il direttore dei lavori può essere chiamato a rispondere della fattibilità e dell’esattezza del progetto laddove sia stato all’uopo incaricato dal committente (Cass. Civ. 18285/2016). Peraltro, la stessa Corte di Cassazione ha esteso anche al direttore dei lavori la disciplina ex art. 1669 c.c., ritenendo la disposizione applicabile anche a carico di coloro che hanno collaborato nella fase di progettazione e in quella di direzione dell’esecuzione dell’opera (Cass. Civ. 8811/2003 e da ultimo Cass. Civ. 18521/2016). Da ciò discende che possono incorrere in tale responsabilità, a titolo di concorso con l’appaltatore, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione del manufatto, abbiano contribuito, per colpa professionale, alla determinazione dell’evento dannoso – progettista e Direttore Lavori (Cass. Civ. 17874/2013). Come noto, l’art. 1669 c.c. statuisce che, quando si tratti di edifici o cose immobili destinate per loro natura a lunga durata e l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore – eventualmente in solido con il Direttore Lavori e/o progettista – è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa. È ormai pacifico, quindi, che la figura professionale di cui si discute sia legata da un vincolo di responsabilità solidale con l’appaltatore nell’ipotesi in cui il danno ANACI LECCO n.6 | Mar-Apr 2017

subito dal committente sia riconducibile al loro concorrente inadempimento. L’estensione della disciplina ex art. 1669 c.c. anche al professionista Direttore Lavori e/o progettista, che peraltro risponderebbe comunque autonomamente ai sensi dell’art.2236 c.c., rappresenta senza dubbio un vantaggio per il committente, agevolando un più celere soddisfacimento del proprio diritto. In specie, in presenza di un’obbligazione solidale, i debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione e, di conseguenza, ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità. Di fatto, dunque, in presenza di gravi vizi e difetti riconducibili all’operato dell’appaltatore e del professionista, il Condominio potrà agire nei confronti di entrambi i soggetti, così da avere maggiore probabilità di soddisfazione delle proprie domande di risarcimento. Occorre considerare, infatti, che sovente le imprese costruttrici, spesso società di capitali, si rilevano incapienti e prive di beni sui cui soddisfare utilmente le pretese creditorie. Diversamente, la simultanea azione nei confronti del Direttore dei Lavori potrebbe essere maggiormente proficua, anche perché i professionisti hanno l’obbligo ex lege di sottoscrivere una polizza professionale. In concreto, ciò significa che, a seguito della citazione in giudizio per responsabilità professionale, il professionista presumibilmente chiamerà in giudizio la propria assicurazione al fine essere manlevato dalla stessa. In conclusione, in caso di riscontrate problematiche nelle opere realizzate, il Condominio dovrebbe formulare la denunzia di cui all’art. 1669 c.c., e poi coltivare la relativa azione evitando così la prescrizione, nei confronti tanto dell’appaltatore quanto del Direttore Lavori. La stessa denuncia dovrà essere redatta in forma scritta e potrà essere agevolmente trasmessa a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento presso il domicilio professionale eletto del professionista, ovvero mediante messaggio di posta elettronica certificata.

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Avv. Fabrizio Goretti

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Condomino in assemblea: partecipare di persona o per delega Le deleghe, come noto, rappresentano lo strumento attraverso cui ogni condomino può partecipare all'assemblea facendosi rappresentare da un'altra persona. Il delegato è chi partecipa all'assemblea, il delegante colui che conferisce l'incarico di partecipare in suo nome e conto. Occorre subito premettere che un condomino può partecipare in assemblea o personalmente oppure per delega. La delega a partecipare, infatti, presuppone, ovviamente, l'impossibilità di prendere parte alla riunione o comunque la volontà di non presenziare all'assemblea. È evidente, quindi, che non ha alcuna logica essere presenti per delega e contemporaneamente di persona in quanto, in caso diverso, la delega perderebbe la sua funzione propria. È chiaro che se l’assemblea non si dovesse opporre, un condomino potrebbe presentarsi in assemblea anche contemporaneamente al delegato ma in tal caso, ovviamente, non potrebbe esprimere il voto in quanto ciò potrebbe essere fatto solo dal delegato. Tra l’altro, occorre ricordare che la legge di riforma del condominio (l. n. 220/2012) ha imposto un limite alle deleghe accumulabili per quei condomini con più di venti partecipanti. Il nuovo primo comma dell'art. 67 disp. att. c.c. specifica infatti che: "Ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”. Ciò significa che non solo la delega dovrà, obbligatoriamente, essere rilasciata per iscritto, ma in condomini particolarmente grandi non si potrà superare un determinato numero: diversamente le delibere devono considerarsi annullabili. Inoltre il quinto comma della medesima norma vieta di conferire la delega all'amministratore di condominio. Ci si chiede se il discorso appena fatto sulla partecipazione personale o per delega di un condomino valga anche nel caso in cui un condomino voglia farsi accompagnare in assemblea da un'altra persona, per esempio da un tecnico o da un consulente di fiducia (avvocato, architetto, ecc.). In questo caso occorre brevemente richiamare quanto stabilito dal garante della privacy in relazione alla partecipazione di “estranei” all'assemblea di condominio; il garante ha affermato che: "in determinati casi possono partecipare anche soggetti diversi dai condomini. Si pensi, ad esempio, a tecnici o consulenti chiamati a relazionare

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La legge di riforma del condominio ha imposto un limite alle deleghe accumulabili per quei condomini con più di venti partecipanti

su specifici lavori da svolgere ovvero alle ipotesi, normativamente previste, di presenza degli inquilini in relazione alla discussione di particolari questioni (ad esempio le spese del riscaldamento)" (Il condominio e la privacy, Garante per la protezione dei dati personali, Ottobre 2013). In questo caso, come si può notare, il riferimento è rivolto a consulenti del condominio, non del singolo condomino. Stante quanto sopra, deve ritenersi che il tecnico incaricato da un condomino possa partecipare all’assemblea solo quale delegato del condomino stesso; i due soggetti (il condomino e il proprio consulente di fiducia) potranno partecipare insieme solamente se l'assemblea non vi si oppone.

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Avv. Davide Longhi

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Formatore di ANACI LECCO

Il Bed & Breakfast in condominio: evoluzione giurisprudenziale

Il Bed & Breakfast ha trovato la natività in Irlanda dove i turisti, non avendo un posto dove soggiornare, chiedevano ospitalità agli abitanti del luogo

Prima di affrontare l’evoluzione giurisprudenziale sull’ammissibilità del Bed & Breakfast (c.d. B&B) in ambito condominiale, è utile fare una breve premessa storica/etimologica sulla nascita/evoluzione di questa forma di “accoglienza”. Il B&B ha trovato la natività in Irlanda dove i turisti, non avendo un posto dove soggiornare, chiedevano ospitalità agli abitanti del luogo. Da questa esigenza si è pensato di dare una forma giuridica a questo tipo di ospitalità che è stata subito vista come un supporto al reddito familiare dell’esercente tale attività. In pratica, il B&B viene pensato come una stanza della propria abitazione da poter “locare/fittare” a turisti che condividono la vita della famiglia ospitante. Il Trib. Verona con la sentenza 22/04/2015 lo definisce attività con funzione “para-familiare” mentre il Trib. Roma con sentenza del 17/09/2015 afferma che è “un servizio extra alberghiero di tipo saltuario”. In Italia, paese d’inventori e innovatori, il B&B è diventato da subito un “mini albergo”. Questa nuova fattispecie ha trovato immediato riscontro in persone, con indole imprenditoriale, che hanno destinato le proprie unità immobiliari ad uso abitativo (facenti parte di un condominio) in B&B. Ed è proprio partendo da quest’ultimo aspetto che nasce tutta la tematica dell’ammissibilità del B&B in condominio. Lo studio che qui si affronta richiede, però, l’analisi di vari aspetti che hanno un diretto riflesso nell’ambito della vita condominiale.

Individuazione e interpretazione Il primo step è quello di verificare/analizzare la presenza di specifici divieti a tale nuova forma di attività presenti nel regolamento condominiale di tipo contrattuale (l’unico in grado di porre delle limitazioni alle più ampie facoltà del diritto reale assoluto: il diritto di proprietà). Leggendo i più comuni regolamenti di condominio si può verificare la presenza di una siffatta perifrasi: “[...] i locali dovranno essere adibiti esclusivamente ad abitazioni, uffici, studi professionali e di rappresentanza o negozi a esclusione di: negozi di pescherie, locande, affittacamere [...] e comunque non farne uso contrario alla tranquillità e al decoro dello stabile, all'igiene e alla morale [...]”. Di norma i divieti/limiti di destinazione delle proprietà private sono formulati nei regolamenti condominiali: a) mediante un’elencazione tassativa delle attività specificatamente vietate, cioè vengono elencate le attività non desiderate ed escluse;

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IL PARERE LEGALE

deve avvenire in modo tale che in concreto (e non in via potenziale) si riesca a “[...] dimostrare l’effettiva e attuale messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni per via dell’espletamento dell’attività contestata” (Trib. Milano sentenza del 10/02/2016).

Qualificazione giuridica del divieto

b) con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare, mediante la presenza di una norma che individua l’attività vietata non in sé, bensì in relazione al danno potenzialmente cagionabile alle parti comuni o ai singoli condomini (turbamento della quiete e della tranquillità dei condomini, del decoro, della morale, ecc. (Cass. 9564/1997 – Cass. 20237/2009 - Cass. 3002/2010). L’interpretazione delle due tipologie di clausole (vedi sopra lett. a et b) contenute nel regolamento di condominio dovrà avvenire secondo le regole dettate in materia di contratti sulla base a) dei criteri ermeneutici soggettivi artt. 1362-1365 c.c. (comune intenzione dei contraenti senza limitarsi al solo significato letterale) e b) criteri ermeneutici oggettivi artt. 1366-1370 c.c. (interpretazione sul significato più idoneo circa la natura, l’oggetto, la funzione economica e sociale del contratto). Occorre ricordare come la Suprema Corte (Cass. n. 4125/2011) abbia affermato l’inammissibilità di un’interpretazione c.d. estensiva del divieto ovvero: "[...]Le clausole del regolamento condominiale che vietano la destinazione delle singole unità immobiliari allo svolgimento di determinate attività, essendo limitative dei diritti del proprietario, non sono suscettibili di interpretazione estensiva". Così anche il Trib. Milano sentenza n. 20/07/2010 ha stabilito che: “[...]le stesse non sono applicabili analogicamente né appaiono suscettibili di interpretazione estensiva". Per fare un esempio la causa che vieta l’attività di locanda non può essere interpretata in modo estensivo analogico da farci rientrare anche l’attività di B&B. Anche l’interpretazione di quelle clausole contrattuali che si riferiscono ai pregiudizi che s’intendono evitare (vedi sopra lettera b)

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Il secondo step riguarda l’analisi e la qualificazione giuridica dell’opponibilità dei divieti/limitazioni di destinazione d’uso contenuti nel regolamento di condominio. In ambito giurisprudenziale (sia di merito sia di legittimità) sono state sviluppate due tesi interpretative, e precisamente: • 1^ tesi: la clausola deve essere qualificata come servitù quindi per la sua opponibilità necessita la trascrizione nei registri immobiliari essendo la servitù anch’essa un diritto reale (servitù a carico dell’unità immobiliare alla quale è imposto il divieto a favore delle altre unità immobiliari c.d. servitù reciproca atipica); • 2^ tesi (maggioritaria allo stato attuale): la clausola deve essere qualificata come un onere o ancora una c.d. obbligazione propter rem (che impone una relazione di subalternità tra l'obbligato e il titolare del diritto di proprietà), e come tale per essere opponibile non necessita della sua trascrizione nei registri immobiliari ma la sua conoscibilità ed accettazione da parte dei condomini/acquirenti (mediante il c.d. richiamo per relationem). Sulla scorta di queste due tesi giuridiche la stessa Corte di Cassazione ha espresso quattro orientamenti: 1° ORIENTAMENTO: con una sentenza rigorosa, e non proprio recente

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IL PARERE LEGALE

(Cass. 6100/93), ha affermato che la clausola contrattuale che impone il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva a determinate attività, deve essere: a) approvata all'unanimità e per avere efficacia deve essere trascritta nei registri immobiliari; b) essere menzionata ed accettata espressamente nei singoli atti d'acquisto. Questa sentenza sposa entrambe le due tesi sopra citate e pone due condizioni alternative per l’opponibilità: la trascrizione intesa come servitù (Cass. 3749/99; Cass. 14898/13) o la sua accettazione nel rogito in forza della relatio bilaterale (il c.d. richiamo) (Cass. n. 11684/02 - Cass. n. 6299/2015). Questo orientamento accoglie entrambe le due tesi sopra citate. 2° ORIENTAMENTO (maggioritario): la Corte, consolidando la propria giurisprudenza, con la sentenza n. 19212/2016 (pubblicata in data 28/09/2016) ha statuito che le clausole di natura contrattuale che pongono limiti ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà devono essere enunciate in modo chiaro ed esplicito e risultano vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell'atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (conformi Cass. 19209/2011 - Cass. n. 17886/09 - Cass. 10523/03 - Cass. 395/93 – Cass. 4905/90). 3° ORIENTAMENTO: dopo solo pochi giorni dalla pubblicazione della

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sopra citata sentenza (vedi 2° orientamento) la Corte di Cassazione ritorna sui propri passi e con la sentenza n. 21024/2016 (pubblicata in data 18/10/2016) pone l’interrogativo sulla natura delle clausole regolamentari contrattuali che impongono limitazioni/divieti alla proprietà privata. Con questa sentenza la Suprema Corte fa propria la 1^ tesi sopra citata affermando che “[...] non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi degli artt. 2659 comma 1 n. 2 e 2665 cc. occorre indicarne le specifiche clausole limitative” (conforme Cass. n. 17493/14). La stessa afferma, quindi, che la clausola contenuta nel regolamento di condominio che pone un limite/ divieto deve essere qualificata come una servitù atipica (e non un’obbligazione propter rem) e per poter essere opponibile al terzo acquirente/condomino deve essere trascritta nei registri immobiliari e più precisamente deve essere espressamente indicata nella nota di trascrizione, ai sensi degli artt. 2659 et 2665 c.c., non essendo più sufficiente il solo generico rinvio per accettazione al regolamento condominiale. Si può notare come il 3° orientamento qui in commento sia in netto contrasto con il 2° orientamento il tutto in virtù di due sentenze emesse a stretto “giro di posta”, ma ecco un nuovo intervento della Suprema Corte che rimette tutto in discussione. 4° ORIENTAMENTO: con la sentenza n. 22310/2016 (pubblicata in data 03/11/2016), la Corte statuisce che “[...] le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio: regolamento che - seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”. La Suprema Corte con questa sentenza fa propria la 1^ tesi sopra citata e statuendo in conformità alla sentenza n. 19212/2016 (vedi sopra 2° orientamento), conferma che la clausola che pone il divieto/limitazione (che deve essere espresso in modo chiaro ed esplicito) debba chiaramente e specificatamente indicare l’attività/destinazione limitata/vietata e che debba essere accettata dall’acquirente/condomino indipendentemente dalla trascrizione nell'atto di acquisto. Sul punto, tenuto conto della non uniformità della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di opponibilità del divieto e vista la complessità della materia, si auspica l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte affinché si possa dirimere il potenziale contrasto mediante l’individuazione di un principio giuridico pacifico ed univoco che possa trovare accoglimento ed applicazione nella vita quotidiana del condominio che, nel frattempo, vede affacciarsi una nuova realtà “domestica/imprenditoriale” quale quella dell’attività di Home Restaurant.

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IL PARERE LEGALE

Questa consiste nella "[...] attività finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all'interno delle unità immobiliari ad uso abitativo di residenza o domicilio, proprie o di un soggetto terzo, per il tramite di piattaforme digitali che mettono in contatto gli utenti, anche a titolo gratuito e dove i pasti sono preparati all'interno delle strutture medesime".

Qualificazione giuridica del B&B Il terzo step è l’interrogativo se tale attività possa essere qualificata come attività imprenditoriale. Qui occorre interrogarsi sulla similitudine tra B&B e affittacamere e B&B e locanda. L’affittacamere (T.U. delle leggi di pubblica sicurezza R.D. 18 giugno 1931, n. 773 - L. 16 giugno 1939, n. 1111 - D.P.R. n. 31/2001) è definito dalla legge come "strutture composte da non più di sei camere, ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati in uno stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari" e diventa locanda quando in aggiunta ad un esercizio di affittacamere si svolge nello stesso edificio una attività di ristorazione: entrambe questa due attività sono definite e qualificate come attività imprenditoriali. Si segnala, altresì, che queste due attività sono disciplinate dalle varie leggi regionali sulla base della Legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo); in alcune regione queste due attività vengono assimilate al B&B. Più di recente, la Corte di Cassazione sentenza n. 21363 del 21 ottobre 2015 ha affermato che i B&B: a) non possono essere assimilati alle strutture alberghiere b) l'esercizio di questa attività non determina un mutamento della destinazione d'uso dell'immobile (di norma ad uso abitativo). In merito a quest’aspetto già con la sentenza n. 24707/2014 la Suprema Corte ha affermato che l’attività di B&B è compatibile in ambito condominiale (conformi Tribunale di Roma sentenza 17/9/2015 e del 26/09/2016 e Tribunale di Verona sentenza 22/04/2015). Per completezza espositiva si segnalano due punti delle ordinanze della Suprema Corte Cass. n. 704/2015 e n. 26087/2010 nelle quali si è affermato che ontologicamente l'attività di affittacamere è del tutto sovrapponibile - in contrapposto all'uso abitativo - a quella alberghiera e anche a quella di B&B. L’attività di B&B si differenzia da quella di affittacamere/locanda per l’esenzione dagli obblighi amministrativi, quali l’assunzione di una partita IVA (con conseguente tenuta dei relativi registri) e l’iscrizione c/o la camera di commercio. In ambito regionale Lombardo è stato approvato dalla Giunta della Regione Lombardia il Regolamento Regionale 5 agosto 2016 n. 7 (regolamento

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che disciplina la materia) dove all’art. 6) si dispone che “[...]i locali destinati all’esercizio di B&B possiedono i requisiti igienico – sanitari ed edilizi previsti per i locali di civile abitazione”, confermando la compatibilità tra destinazione abitativa e B&B. Dall’esposizione narrativa che precede si può affermare quanto segue: a) l’attività di B&B non ha natura di attività alberghiera/pensione perché costituisce un servizio extra-alberghiero, esercitato nel luogo di residenza del gestore e soggetto a limiti di apertura e di capienza; b) non è assimilabile né all’affittacamere né alla locanda; c) è compatibile con la destinazione a uso abitativo; d) è un’attività, che in via di principio, non è tale da ledere la tranquillità e il decoro del condomino, l'igiene e la morale; e) per poter vietare in ambito condominiale detta attività, deve sussistere nel regolamento di tipo contrattuale, uno specifico divieto che letteralmente ed espressamente si riferisca a siffatta attività di B&B, conseguentemente tale attività è consentita se il regolamento non lo vieta espressamente (vedi sopra per la sua opponibilità). NOTA LIMITAZIONI ALL'USO DELLE PARTI COMUNI Cassazione Ordinanza 2 marzo 2017, n. 5336, Sez. II civile Le pattuizioni, contenute nell'atto di acquisto di un'unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini ovvero di quelle relative alle parti condominiali dell'edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o, quanto meno, obbligazioni propter rem. Ne consegue che devono ritenersi invalide quelle clausole che, con formulazione del tutto generica, limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali ed attribuiscano all'originario proprietario il diritto non sindacabile di apportare modifiche alle parti comuni, peraltro, come nella specie, ritenuto pure trasmissibile agli acquirenti dei singoli appartamenti.

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AMARCORD

Rubrica a cura di Pierluigi Dell'Oro Ex-Presidente e Socio Onorario ANACI

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orso al Politecnico di Milano - 1999 Grazie al contributo di Eugenio Correale venne organizzato il primo corso per amministratori condominiali di Lecco, al quale venne dato il titolo “L’amministratore immobiliare e condominiale nel ciclo edilizio". Per la neonata Provinciale di Lecco fu un evento di grande prestigio anche perché era frutto di una prima collaborazione tra Anaci e il Politecnico di Milano (Diset). L’inaugurazione si tenne il 20 novembre 1999 alla presenza dell’avv. Anghileri, presidente della Provincia di Lecco, di diversi Presidenti Provinciali Anaci e della stampa locale. Grazie ad alcuni sponsors che avevamo recuperato, fu possibile festeggiare l’evento con un pranzo presso il ristoranre Larius. Le lezioni si tennero nell’aula magna e relatori erano docenti del Politecnico e del Centro Studi Anaci della Lombardia. Ricordo tra gli altri il prof. Turchini, il prof. Sdino, l’avv. Correale, l’avv. Gallone, il dott. Rigotti (Presidente Nazionale Anaci in carica), il dott. Guazzoni, il rag. Abbiati, ecc. Diversi dei vecchi associati di Lecco parteciparono al Corso (compreso l’attuale Presidente Marco Bandini) come pure si iscrissero parecchi amministratori da fuori Provincia. Il Corso fu un vero successo anche per l’autorevolezza e la preparazione dei Docenti e si chiuse con la festa e la consegna degli attestati il 15 aprile del 2000. Questo Corso mi impegnò moltissimo, ma mi permise di acquisire l’esperienza e di consolidare quei contatti che mi sarebbero stati utili nell’organizzazione dei successivi corsi.

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nno del Giubileo - 2000 Anaci ha sempre avuto uno statuto da discutere e modificare e quindi nel febbraio del 2000 si decise di tenere un Congresso Straordinario a Pomezia (Roma) da sabato 2 a mercoledì 5, proprio in corrispondenza del Giubileo. Fu un raduno davvero straordinario che ricorderò sempre per gli eventi ai quali partecipai sia per il fantozziano rientro. Avevo ai tempi una Mercedes familiare e allora

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mi misi in viaggio con Mandelli, Monica Rusconi di Sondrio e sua mamma. Strada facendo ci incontrammo con gli amici di Bergamo (Bartesaghi, Morosini, Famoso e Manzoni) e ci fermammo a pranzo in un localino della Toscana. Verso sera arrivammo all’Hotel Selene di Pomezia dove ci registrammo ed incontrammo gli amici delle altre Provinciali Lombarde. Spesso i lavori del congresso venivano a noia, ma alla sera si andava in locali caratteristici di Roma. Eludendo la sorveglianza di Bertoni, le ragazze di Brescia si aggregavano ed eravamo proprio una bella compagnia. Purtroppo tanti di amici ci hanno lasciato come Spalvieri, Abbiati e Vecchioni. Ma lasciamo i tristi ricordi e torniamo a quei giorni. Il martedì venne organizzata una visita esclusiva con guida ai Musei Vaticani. A parte la bellezza dei capolavori qui custoditi mi lasciò senza fiato la Cappella Sistina ed in particolare il Giudizio Universale. Per me che l’avevo visto prima del restauro, velato dalle patine dei secoli, i nuovi colori originali, così vivaci, mi aprirono gli occhi sulla grandiosità dell’opera di Michelangelo. La sera si tenne la cena di gala mentre il mercoledì era programmata l’udienza con la consegna al Papa del Calice offerto dall’Anaci. Per vari impegni di ognuno di noi al mattino iniziammo il viaggio di ritorno rinunciando all’udienza papale. Ma era stato tutto troppo bello e la nuvoletta fantozziana era in agguato: avevo 39 di febbre. Toccò quindi al buon Mandelli fare l’autista mentre il sottoscritto dormicchiava tra le premurose braccia della mamma di Monica. Arrivati a Orvieto parcheggiamo le auto sotto le vecchie mura e tutti andarono ad abbuffarsi in un locale del centro, mentre io, sempre in presa alla febbre, mi ero appisolato definitivamente in auto. Non so come, ma alla fine arrivai a casa e ancora oggi, quando lo incontro, il Morosini ridacchiando mi dice: ”Ti ricordi ad Orvieto quando ti abbiamo abbandonato in macchina mentre noi pranzavamo? Ma siamo stati “umani” e ti abbiamo lasciato aperto un pezzo del finestrino”. Chiamali Amici!!


Prof. Arch. Annalisa Galante

IL PARERE TECNICO

Membro del Centro Studi e Consulente Tecnico ANACI LECCO

Climatizzazione estiva: esistono limiti di accensione? Esiste un limite di orario per l’accensione dei climatizzatori estivi, esattamente come avviene per il riscaldamento invernale? Soprattutto in ambito condominiale, questa domanda è lecito porsela. Partiamo dal presupposto che nella definizione più generale di impianto termico ricadono sia dalla climatizzazione invernale che da quella estiva. Dal punto di vista tecnico, l'art. 2 lettera l-tricies del d.lgs. 192/2005 definisce l’impianto come quello “destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolarizzazione e controllo. Sono compresi negli impianti termici gli impianti individuali di riscaldamento”. Grazie a questa definizione, è lecito affermare che anche gli impianti di climatizzazione estiva (o di condizionamento), principalmente alimentati a energia elettrica, devono essere considerati impianti termici. D’altronde ne abbiamo certezza pensando alla pompa di calore: un impianto di climatizzazione bivalente, comunque definito “impianto termico” o “generatore termico”. Lo stesso articolo del d.lgs. 192 continua specificando che non sono considerati impianti termici apparecchi quali: stufe, ca-

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Le norme dettate in materia di periodi e orari di accensione riguardano limiti di esercizio degli impianti termici per la climatizzazione invernale, ma non per quella estiva

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minetti, apparecchi di riscaldamento localizzato a energia radiante (per esempio radiatori elettrici o il classico scaldasalviette), con un’eccezione: “tali apparecchi, se fissi, sono tuttavia assimilati agli impianti termici quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare è maggiore o uguale a 5 kW”. Di sicuro non sono considerati impianti termici “i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate”, ovvero gli scaldaacqua autonomi. All'adozione del decreto legislativo n. 192 del 2005 è seguita l'emanazione di successivi atti normativi di attuazione; tra questi va ricordato il d.p.r. n. 74 del 2013 “Regolamento recante definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari, a norma dell'articolo 4, com-

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ma 1, lettere a) e c), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192”. Si tratta del passaggio legislativo di riferimento per la manutenzione e conduzione degli impianti termici, ivi compresi gli impianti di climatizzazione estiva, ossia i condizionatori. Varie sono le disposizioni che riguardano gli impianti di climatizzazione estiva: dai controlli sull'efficienza energetica (art. 6 d.P.R. n. 74 del 2013) a quelli sulle temperature minime al di sotto delle quali non è dato andare nel caso di uso dei medesimi impianti (art. 3 d.P.R. n. 74 del 2013). Le norme dettate in materia di periodi e orari di accensione riguardano, come specificamente chiaramente l'articolo 4 del decreto, limiti di esercizio degli impianti termici per la climatizzazione invernale, ma non per quella estiva. Il motivo è semplice: questo tipo di impianti non generano emissioni inquinanti, come quelli per il riscaldamento invernale. La legislazione in vigore, quindi, non prevede alcun limite di orario per l'accensione dei condizionatori, anche se il suo uso andrebbe limitato, perché è vero che non generano inquinamento, ma sono i responsabili primari di quella che in gergo tecnico viene chiamata “Isola di calore”, ovvero l’innalzamento della temperatura media esterna, principalmente in città, dovuta all’aria calda prelevata dagli ambienti interni ed espulsa dalle unità motocondensanti (gli “zainetti”) verso l’esterno. Il regolamento condominiale, se di natura contrattuale, può prevedere dei limiti all'uso. Quello comunale no, perchè non prevista per legge, fermo restando eventuali sanzioni per eccessiva rumorosità degli apparecchi.

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Ing. Alessio Maggi

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Esperto in sicurezza e ambiente - Tecnolario

Inquinamento acustico: la nuova legislazione in vigore Sono entrati in vigore il 19 aprile due decreti legislativi in materia di tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2017. I due provvedimenti hanno lo scopo di armonizzare la normativa nazionale con quella comunitaria. Il d.lgs. 42 del 17 febbraio 2017 modifica e integra il d.lgs.194/2005 relativo alla gestione del rumore ambientale, e la legge quadro sull’inquinamento acustico (Legge 447/1995), disciplina la figura professionale di tecnico competente in acustica e introduce l’obbligo di mappature acustiche e di valutazione di impatto acustico.

Il tecnico competente in acustica Viene aggiornata la disciplina dell’attività e della formazione della figura professionale di tecnico competente in materia di acustica. In particolare vengono individuati i criteri generali per

Nuova disciplina della figura del Tecnico competente e obbligo di mappature acustiche e di valutazione di impatto acustico: ecco le novità del d.lgs. 42/17

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l’esercizio di tale professione, si disciplina l’elenco nominativo dei soggetti abilitati istituito presso il Ministero dell’Ambiente e i requisiti necessari per l’iscrizione.

Mappature acustiche Il decreto introduce l’obbligo per i Comuni di redigere, entro il 30 giugno 2017, le mappature acustiche secondo i criteri e le specifiche dettati dalla Direttiva Inspire (2007/2). Inoltre, prevede, a decorrere dal 31 dicembre 2018, metodi comuni per la determinazione del rumore stabiliti dalla Direttiva 2002/49/CE.

Valutazione di impatto acustico Il provvedimento modifica le modalità

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e i termini di presentazione della relazione sullo stato acustico del Comune e prevede che la valutazione di impatto acustico di infrastrutture di trasporto (lineari, aeroportuali e marittime) deve considerare i casi di concorrenza tra le diverse infrastrutture interessate. Prevede l’emanazione di nuovi regolamenti per le sorgenti di rumore attualmente non considerate dalla normativa e l’aggiornamento della disciplina delle emissioni sonore prodotte nello svolgimento di attività sportive. Alla definizione di ‘sorgenti sonore fisse’ vengono aggiunti gli impianti eolici.

Inquinamento acustico da macchine rumorose Il Dlgs 41 del 17 febbraio 2017 colma anche un vuoto normativo relativo alle macchine rumorose operanti all’aperto. Queste sono regolamentate dalla Direttiva 2000/14/CE, importate da Paesi extracomunitari e messe in commercio nella distribuzione di dettaglio, per le quali non sia stata prodotta la certificazione e la marcatura CE.

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Prof. Ing. Gianluca Ruggieri

IL PARERE TECNICO

Ricercatore di Fisica Tecnica Ambientale presso l'Universitò dell'Insubria

La transizione verso un sistema basato sulle fonti rinnovabili I media ci hanno informato che la ratifica dell’accordo di Parigi da parte dei paesi dell’Unione Europea e la sua conseguente entrata in vigore avranno un effetto dirompente sul nostro sistema energetico. Per poter tenere fede all’obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura globale, entro il 2050 dovrà sostanzialmente cessare l’utilizzo di fonti fossili a fini energetici. Questa transizione avrà necessariamente impatti rilevanti negli assetti economici e sociali oltre che negli equilibri geopolitici. Forse mai nella storia un cambiamento di tale rilevanza è stato deciso durante una conferenza internazionale. Saranno ovviamente interessati il settore energetico e quello dei trasporti, ancora largamente dipendenti dai combustibili fossili. Verranno poi coinvolti (indirettamente ma in maniera non meno rilevante) l'industria manifatturiera, la produzione agricola, l'edilizia. La forma stessa di città sarà modificata nel profondo. In realtà, come spiego insieme a Fabio Monforti nel libro “Civiltà solare”, appena uscito in libreria per Altraeconomia Edizioni, il mondo dell'energia da qualche tempo sta cambiando già da qualche tempo tanto che si può dire che sia in corso una vera e propria rivoluzione energetica. Sappiamo che le fonti fossili hanno dato la forma attuale al nostro modello economico, alle nostre città, ai nostri stili di vita ma dopo centocinquanta anni di dominio assoluto di carbone, petrolio e gas, oggi si sono finalmente accreditate delle alternative concrete, le fonti rinnovabili, che stanno crescendo in maniera inaspettata e per le quali, altrettanto inaspettatamente, stanno crollando i costi di produzione. Parigi appunto fortificherà l’impulso per questa transizione dato che si è dimostrato che il contenimento del cambiamento climatico ben al di sotto della fatidica soglia dei due gradi è incompatibile con lo sfruttamento già solo delle risorse fossili già note. Fortunatamente non siamo all'anno zero e a Parigi non si sono incontrati visionari e filosofi, ma i pragmatici leader di quasi duecento nazioni in molte delle quali il cammino verso un diverso sistema energetico è già realtà da anni. La maggior parte di noi si è accorta solo marginalmente di questo cambiamento: quando leggiamo sui giornali che a giugno l’Italia ha prodotto il 50% del suo consumo mensile di elettricità usando fonti rinnovabili o che l’Unione Europea ha raggiunto i propri

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Per poter tenere fede all’obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura globale, entro il 2050 dovrà sostanzialmente cessare l’utilizzo di fonti fossili a fini energetici

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obiettivi di risparmio energetico con cinque anni di anticipo sul previsto in fondo non ci stupiamo più che tanto, e nessuno stappa bottiglie per celebrare. In realtà dovremmo farlo, perchè si tratta di risultati veramente eccezionali sia per i tempi tutto sommato ristretti in cui sono stati raggiunti sia per il fatto che sono stati raggiunti senza sostanzialmente disturbare il nostro stile di vita, in maniera “trasparente” al consumatore. Dietro questi obiettivi raggiunti c’è un lavoro immenso di tecnici, ricercatori e decisori politici che vale la pena di essere conosciuto meglio e nel loro libro

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Ruggieri e Monforti ripercorrono la storia del nostro sistema energetico e tratteggiano la rivoluzione in atto, fatta di broker che fino a qualche anno fa trattavano petrolio e carbone e che oggi vendono sole e vento, di cittadini che si uniscono in cooperative energetiche e di governi che hanno deciso di puntare su risorse finora neglette. Il libro non perde l’occasione di sfatare alcuni luoghi comuni in cui è ancora facile imbattersi, nonostante tutto. È così conveniente estrarre gas e petrolio all'inizio del ventunesimo secolo? Fino a che punto è possibile contare su eolico e solare? Costano ancora così tanto? Quanto è migliorata la loro resa? Le auto elettriche si stanno realmente preparando a diventare la tecnologia di riferimento? D’altronde cambiare il sistema energetico di un pianeta sempre più industrializzato e sempre più popolato è una faccenda complessa e necessita una profonda conoscenza tecnica del sistema unita a una ferrea volontà politica, supportata da un consenso popolare il più ampio possibile. Proprio per questo noi autori di “Civiltà solare” ci auguriamo che il nostro libro possa servire ai lettori per conoscere meglio la transizione energetica in corso, conoscenza che si possa trasformare in consapevolezza al momento delle scelte quotidiane. Citando le più autorevoli fonti disponibili e facendo largo ricorso a immagini e infografiche, il libro prova a mostrare come la transizione verso un sistema basato prevalentemente sulle fonti rinnovabili sia finalmente a portata di mano. Ma i contorni concreti di questa transizione, la dimensione reale, sarà il frutto di un processo che non coinvolge solo i ricercatori ma dovrà allargarsi a tutta la nostra comunità. Molte tecnologie sono già disponibili, altre si stanno lentamente affermando, altre devono ancora comparire all'orizzonte. Ma non si tratta solo di una questione tecnologica. Perché la transizione possa compiersi è necessario un cambio di paradigma più complessivo.

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Ing. Luigi Franceschi

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Responsabile Tecnico Divisione Ascensori ICT Genesia

Sbarchi chiusi ascensori: come affrontarli? Il problema degli sbarchi diretti di un ascensore in un appartamento, o comunque di uno sbarco chiuso all’interno di un’area dalla quale non è possibile uscire in maniera diretta, è annoso e complesso. L’evoluzione della normativa nell’arco degli anni ha affrontato la questione imponendo vincoli differenti e che concorrono quindi a rendere articolate le possibili soluzioni. I principali riferimenti da considerare sono: • il d.l. 600 del 31 agosto 1945 • il d.P.R. 1497 del 29 maggio 1963 • il d.m. 587 del 9 dicembre 1987 • la Direttiva 95/16/CE del 29 giugno 1995 recepita in Italia con il d.P.R. 162 del 30 aprile 1999 (sostituita oggi dalla Direttiva 2014/33/UE). Il primo riferimento tecnico e legislativo, il d.l. 600, non fa alcun accenno al problema. Ne consegue che, per impianti collaudati secondo questa normativa o precedentemente a essa, non esistono vincoli di sorta, purchè la chiusura degli sbarchi fosse già presente al momento del collaudo o comunque antecedente all’entrata in vigore di norme successive. Il discorso cambia totalmente con l’avvento del d.P.R. 1497, nel quale si afferma all’art. 24.11 che “Ogni piano servito deve avere almeno una porta per uscire dalla cabina senza impiegare chiavi”. Questo obbligo assoluto è stato successivamente

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L’evoluzione della normativa nell’arco degli anni ha affrontato la questione imponendo vincoli differenti e che concorrono quindi a rendere articolate le possibili soluzioni

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parzialmente ammorbidito da diversi pareri del CNR-UNI. In particolare il parere 660117/40 afferma che l’uscita dalla cabina può avvenire anche verso un locale interno chiuso, purchè questo abbia particolari requisiti riguardanti superficie, aerazione, illuminazione e possibilità di suonare l’allarme. In questo caso, quindi, la situazione è chiara: è vietato lo sbarco in un ambiente segregato, a meno che il locale di sbarco abbia determinate caratteristiche. La questione si complica con il d.m. 587, nel quale scompare nuovamente ogni riferimento a questa problematica, dando così origine ad una polemica mai veramente conclusa. Nascono infatti due correnti di pensiero opposte, una che afferma che, mancando qualsiasi riferimento, si può fare ciò che si vuole, l’altra che afferma che restano valide le indicazioni del d.P.R. 1497/63. I sostenitori di questa seconda interpretazione si rifanno al principio giuridico generale secondo il quale se una norma riguardante un ambito non tratta uno specifico aspetto di detto ambito, occorre risalire alle norme precedenti che possano eventualmente farne cenno. A seguito di diverse richieste a riguardo girate agli organi normativi (UNI in prima battuta e CEN a livello europeo) sono stati emessi dei chiarimenti che, in sostanza, affermano che gli sbarchi chiusi non sono vietati esplicitamente, anche perché non costituiscono parte integrante della macchina “ascensore”. Gli sbarchi diretti, quindi, risultano ammissibili purchè esistano procedure per assicurare sempre l’accesso alla porta di piano dell’a-

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scensore per la manutenzione e, soprattutto, per le operazioni di soccorso. Per quanto riguarda, infine, gli impianti installati secondo la Direttiva Ascensori 95/16/CE (ora 2014/33/UE), la situazione è analoga alla precedente, ma i nuovi chiarimenti emessi (come il parere UNI/U85/ N° 07) indicano che solo una valutazione dei rischi effettuata caso per caso prima dell’installazione può garantire il necessario livello di sicurezza. In generale, una valutazione dei rischi sconsiglia gli sbarchi diretti e, in subordine, prevede che tutte le chiavi necessarie ad accedere dall’esterno alla porta di piano dell’ascensore siano sempre disponibili in tempi ragionevoli, in modo da poter intervenire tempestivamente in caso di bisogno. È utile ricordare che la responsabilità dell’organizzazione e del rispetto delle procedure necessarie a garantire questa condizione è esclusivamente del proprietario dell’impianto o suo legale rappresentante. Una valida soluzione, ad esempio, è quella di dare copia delle chiavi dell’appartamento nel quale sbarca l’ascensore a un istituto di vigilanza privata (che garantisce la consegna in tempi brevi all’occorrenza) e di riportare nel locale macchinario le informazioni per l’attivazione di questa procedura. Resta inteso che la disponibilità ad attivare questa soluzione e a mantenerla nel tempo deve essere attestata almeno da una dichiarazione firmata dalle persone direttamente interessate (ad esempio il proprietario dell’appartamento). In caso contrario l’impianto non può essere mantenuto in servizio, in quanto presenta un pericolo immediato non considerato in sede di collaudo o sopraggiunto successivamente al mutare delle condizioni al contorno.

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Geom. Simona Frigerio

IL PARERE TECNICO

Titolare Impresa Frigerio

Dispositivi di ancoraggio: verifiche periodiche I sistemi di ancoraggio secondo quanto previsto all’art. 115 del TUS 81/08 e s.m.i. devono essere conformi alle norme tecniche. In data 12.11.2015 è stata emanata la nuova Norma UNI 11578/2015 che ora tratta esclusivamente i Dispositivi di Protezione Individuale. In precedenza su questa norma si rilevava l’obbligo di verifica sui dispositivi di ancoraggio:“annuale o prima del loro utilizzo se non utilizzate per lunghi periodi”. Il 6.11.2014 veniva pubblicata la Norma UNI 11560/2014 corretta successivamente in data 11.12.2014 e 22.10.2015. La Norma UNI 11560 tratta specificatamente i sistemi di ancoraggio in copertura e a questa occorre fare riferimento. Sulla stessa nelle definizioni troviamo specificato che: • Committente proprietario del sistema, responsabile della gestione della corretta installazione e manutenzione. • Installatore persona qualificata, che effettua il montaggio e l’eventuale smontaggio del sistema di ancoraggio. • Ispettore tecnico abilitato, che effettua le verifiche e i controlli necessari ad accertare che il sistema di ancoraggio abbia mantenuto le caratteristiche prestazioni iniziali in tempi programmati o a seguito di eventi eccezionali. • Lavoratore persona alla quale è destinato il sistema di ancoraggio. • Manutentore persona qualificata che effettua le operazioni ritenute necessarie affinché il sistema di ancoraggio mantenga nel tempo le caratteristiche prestazioni iniziali. Queste definizioni sono fondamentali per comprendere le nuove indicazioni sulle modalità e tempi di effettuazione delle ispezioni sui dispositivi di ancoraggio. Ora vi sono quattro tipi di ispezione previsti dalla norma: • 1. Ispezione al montaggio - Viene effettuata sui componenti prima e dopo il montaggio dall’installatore che deve seguire le indicazioni del fabbricante, del progettista e del progettista strutturale. • 2. Ispezione prima dell’uso - Prima di ogni intervento il lavoratore deve ispezionare ogni componente e deve segnalare al committente qualsiasi difetto o inconveniente rilevato. Nel caso siano presenti difetti e/o inconvenienti si deve procedere con ispezione straordinaria. • 3. Ispezione periodica - L’intervallo tra due ispezioni non può essere maggiore di 2 anni per i controlli sul sistema di ancorag-

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L’intervallo tra due ispezioni non può essere maggiore di 2 anni per i controlli sul sistema di ancoraggio e 4 anni per la struttura di supporto

gio e 4 anni per i controlli relativi alla struttura di supporto e agli ancoranti. Le ispezioni devono essere effettuate dall’installatore e/o l’ispettore con assunzione di responsabilità. Fabbricante e progettista strutturale possono raccomandare ispezioni periodiche più restrittive. Nel caso siano presenti difetti e/o inconvenienti si deve procedere con ispezione straordinaria. 4. Ispezione straordinaria - La verifica ispettiva straordinaria si ritiene debba essere eseguita da un ispettore. Il manutentore effettuerà quanto richiesto in sede di ispezione. La messa in servizio dei dispositivi sarà subordinata al controllo da parte dell’ispettore degli interventi effettuati.

ANACI LECCO n.6 | Mar-Apr 2017


Dott.ssa Raffaella Figini

IL PARERE FISCALE

Dottore Commercialista e Consulente fiscale di ANACI LECCO

Manovrina estiva e sismabonus: le novità per i condomini

La Manovrina estiva ha toccato molti aspetti del settore immobiliare legato soprattutto ai condomini

Recenemente pubblica il Decreto legge “Manovrina” che tocca diversi aspetti del settore immobiliare: ecco ii punti in estrema sintesi.

Detrazioni per interventi di incremento dell'efficienza energetica nei condomini La cessione delle detrazioni ai fornitori che hanno effettuato lavoro condominiali per il miglioramento dell’efficienza energetica sarà possibile sino al 31 dicembre 2021 sempre per i soggetti che si trovano nella no tax area. Possibilità anche di cedere tale detrazione a soggetti privati (istituti di credito e intermediari finanziari). Le condizioni di incapienza devono sussistere nell’anno precedente a quello di sostenimento delle spese per gli interventi sopracitati. Le detrazione sarà fruibile in dieci anni, in quote costanti, esclusivamente in compensazione. I controlli in capo a Enea sulla sussistenza dei requisiti per poter beneficiare delle detrazioni sono stati parzialmente modificati. Le nuove procedure e modalità saranno disciplinate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro il 30 settembre 2017.

Nuova disciplina prestazioni occasionali Le attività lavorative che danno luogo, in un anno a compensi complessivamente non superiori (commi 1 e 4): • 5.000 euro, per ciascun prestatore con riferimento alla totalità degli utilizzatori; • 5.000 euro, per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori; • 2.500 euro, per prestazioni rese complessivamente da ogni prestatore in favore dello stesso utilizzatore. Sarà necessario registrare la prestazione occasionale su una piattaforma informatica gestita dall’Inps. In caso di persone fisiche, si potrà ricorrere al lavoro occasionale tramite il Libretto Famiglia (nominativo e prefinanziato, acquistabile presso l’inps o gli uffici postali). Le prestazioni occasionali dovranno riferirsi a piccoli lavori domestici - inclusi lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità, insegnamento privato supplementare. Se si supera il limite di 2.500 euro, o la prestazione dura più di 280 ore nell'arco dello stesso anno civile, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo pieno e indeterminato.Per ogni violazione giornaliera accertata

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IL PARERE FISCALE

è prevista una sanzione amministrativa da euro 500 a euro 2.500, senza alcuna procedura di diffida.

Mediazione obbligatoria civile Si modifica l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 stabilizza nell'ordinamento l'efficacia della disciplina della mediazione obbligatoria in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato.

Nuova tassa sulle locazioni brevi I contratti di locazione ad uso abitativo, di durata inferiore a 30 giorni, (non soggetti a registrazione) e attività accessorie. Il proprietario dell'immobile concesso in affitto può in alterativa: optare per la cedolare secca al 21%, sostitutiva dell'Irpef e dell'imposta di registro; oppure applicare il regime ordinario Irpef, con aliquota minima 23%.

Sismabonus integrato Disciplinate le detrazioni qualora gli interventi per la riduzione del rischio sismico siano realizzati nei comuni inclusi nelle zone a rischio sismico da parte di imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare che provvedano alla successiva alienazione dell'immobile, entro diciotto mesi dalla data di termine dei lavori. Agli acquirenti di tali unità immobiliari spettano le detrazioni previste in caso di riduzione del rischio sismico che determini il passaggio ad una classe di rischio inferiore, rispettivamente nella misura del 75% e dell'85% del prezzo della singola unità immobiliare e, comunque, fino a 96.000 euro per singola unità immobiliare. I soggetti beneficiari possono optare per la cessione del credito alle medesime imprese che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, con la

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facoltà di successiva cessione del credito, con esclusione di cessione ad istituti di credito e intermediari finanziari.

Focus sul sisma bonus La legge di bilancio ha introdotto una detrazione, denominata per semplicità “sismabonus 2017”. In sintesi è prevista la possibilità di fruire di incentivo se sull’abitazione , sull’immobile adibito ad attività produttiva o sulle parti comuni dei condomini, si effettuano interventi di adeguamento sismico certificati. Gli immobili, oggetto della nuova detrazione, non solo quelli ubicati nelle zone 1 e 2, ma anche quelli della zona 3, a medio rischio sismico. In base alla legge di Stabilità 2017 sono previste, infatti, le seguenti novità: 1. Bonus terremoto 2017: per le spese sostenute per l’adeguamento antisismico nel periodo 1° gennaio - 31 dicembre 2021, sugli edifici ricadenti nelle zone 1 e 2 (altissima e alta pericolosità sismica), è prevista una detrazione pari al 50% delle spese. E’ prevista una soglia massima di spesa pari ad euro 96 mila. La detrazione viene suddivisa in 5 quote annuali, a partire dall’anno di sostenimento della spesa; 2. Nuovo Sisma bonus 2017: per le spese sostenute per la riduzione di rischio sismico nel periodo 1° gennaio - 31 dicembre 2021 sugli immobili ricadenti nelle zone 1, 2 e 3 , tali da determinare il passaggio ad una classe inferiore di rischio terremoto, la detrazione anziché essere del 50%, spetta al 70%. Se i lavori determinato la riduzione di 2 classi di rischio, la detrazione, invece, è pari all’80%; 3. Nuovo Sisma bonus condomini

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IL PARERE FISCALE

2017: per le spese sostenute (sempre nel limite di 96.000 euro) per la riduzione di rischio sismico nel periodo 1° gennaio - 31 dicembre 2021 sulle parti comuni dei condomini e dell’edificio, che portano il passaggio ad una classe inferiore spetta una detrazione del 75%, due classi 85%. Quindi: • è necessario che i lavori di adeguamento sismico vengano effettuati tra il 1° gennaio 2017 ed il 31 dicembre 2021; • i lavori devono portare ad una riduzione di rischio sismico di 1 classe o 2 classi; maggiore è la riduzione del rischio e maggiore è la detrazione spettante; • tali interventi possono essere eseguiti sugli immobili abitativi e su quelli adibiti ad attività produttiva e condomini; il tutto a condizione che siano ubicati nelle zone 1, 2 e 3 di cui all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, pubblicata nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2003. • la spesa massima non deve supeANACI LECCO n.6 | Mar-Apr 2017

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rare i 96.000 euro;. le detrazione è fruibile in 5 quote annue di pari importo; il credito possa essere ceduto a soggetti terzi o all’impresa, in modo tale da permettere ai condomini incapienti, di poter fruire dell’agevolazione.

Di seguito le zone 1, 2 e 3 a rischio sismico: • Zona 1 - Sismicità alta: è quella a più alta pericolosità sismica, dove cioè si possono verificare forti terremoti e comprende 708 comuni, tra cui quelli dove si sono registrati gli ultimi terremoti più forti (Abruzzo, Friuli, Campania, Calabria, Marche, Lazio) [PGA oltre 0,25g.] • Zona 2 - Sismicità media [PGA fra 0,15 e 0,25g], vi rientrano 2.345 Comuni in cui potrebbero verificarsi terremoti abbastanza forti; • Zona 3 - Sismicità bassa [PGA fra 0,05 e 0,15g], vi rientrano i Comuni che potrebbero essere soggetti a terremoti modesti. • Zona 4 - Sismicità molto bassa [PGA inferiore a 0,05g], è la meno esposta al verificarsi di eventi sismici. Agganciata al sisma bonus, è la detrazione fiscale che spetta agli acquirenti, qualora l’immobile in area a rischio 1, oggetto di lavori antisismici (demolizione e ricostruzione) venga venduto entro 18 mesi dalla fine dei lavori. Agli acquirenti spetterà un credito di imposta del 75% se ci sarà passaggio ad una classe inferiore di rischio sismico, dell'85% se la riduzione del rischio sarà di due classi. Il credito verrà calcolato sul prezzo dell’unit immobiliare fino a un massimo di 96 mila euro a casa. Anche in questo caso, come già per il sismabonus, il credito potrà essere ceduto alle imprese che hanno fatti i lavori o a soggetti privati. Esclusa invece la cessione a banche.

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IL DECALOGO del CONDOMINIO RICICLONE 5LVSHWWDUH giorni giorni e orari orari GL UDFFROWD SUHYLVWL 3HU LO ULWLUR ODVFLDUH DSHUWL L cancelli condominiali condominiali GDOOH DOOH 1RQ FRQIHULUH LO vetro vetro QHL FDUWRQL R QHL VDFFKHWWL PD XVDUH FRQWHQLWRUL ULJLGL

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