asud'europa anno 7 n.10

Page 12

Quattro cifre per denunciare i soprusi 1522, numero verde antiviolenza sulle donne Gilda Sciortino

uattro semplici numeri, 1522, l’uno dietro l’altro come a voler dire che si è tutti uniti per rispondere a questa ondata di violenza, che nel solo 2011 ha causato la morte di 137 donne, mentre nel 2012 di 124 fidanzate, mogli, madri, amiche, compagne di un uomo, che all’inizio aveva vestito i panni del principe azzurro e che nel giro di poco tempo si è trasformato in Barbablù, nell’orco protagonista di un incubo, dal quale in molte non si sono più svegliate. E nonostante i numeri ci dicano che esiste un allarme - l’1522 è il numero verde contro la violenza, da potere chiamare 24 ore al giorno -, bisogna fare presto in modo che altre donne non debbano fare la stessa fine, non si investe più di tanto sia nei centri antiviolenza sia nelle case protette, strutture indispensabili per consentire a chi denuncia di essere sostenuta e garantita nel lungo calvario che seguirà la scelta coraggiosa di dire “basta”. Ed è veramente deprimente vedere la situazione di difficoltà in cui versano le tante associazioni italiane, che non possono occuparsi per com’è giusto di queste donne a causa della mancanza dei fondi, necessari anche solo per pagare le utenze telefoniche, mentre in altri paesi dell’Unione Europea si è come sempre molti passi in avanti. Perché altrove l’essere umano, le donne e i bambini in questo caso specifico, non sono entità astratte, corpi estranei alla società, ma individui, risorse, linfa vitale di un Paese, e per questo vanno aiutati, sostenuti, protetti e accompagnati verso la luce. Tanto per avere un’idea, in Italia i Centri antiviolenza sono in tutto 127, sparsi a macchia di leopardo su tutto il territorio: 5 in Piemonte, 8 in Toscana, 9 in Emilia, 10 in Lombardia, 12 nel nord est del Paese. Solo 35 sono, invece, i posti letto disponibili a Roma, dove si concentra tutta l’accoglienza offerta dalla regione Lazio. Se

Q

12 11marzo2013 asud’europa

già al nord la situazione sembra difficile, scendendo peggiora del tutto: il Molise addirittura non ne possiede neanche 1, la Basilicata ne vede funzionare solo 1, 3 sono in Campania, 4 in Puglia. Così, nel caso in cui le strutture non esistano, le donne devono pregare il santo di turno, magari chiedendo anche alla dea bendata di volgere lo sguardo nei loro confronti, per sperare di rimanere vive. E, oltre che deprimente, è veramente triste avere la consapevolezza che, a fare il bello e cattivo tempo rispetto alla sopravvivenza dei centri e degli sportelli antiviolenza, ma soprattutto per quel che riguarda le case protette, sono sempre e solo gli enti locali, le amministrazioni che, a seconda del colore politico di turno, è proprio il caso di dirlo, decidono tra la vita e la morte. Del resto, non esistendo una legge nazionale che disciplini il finanziamento dei centri antiviolenza, ci si deve affidare all’illuminazione dei governi regionali, solitamente del tutto inesistente. Tutto questo, ovviamente, nonostante l’Unione europea dica molto chiaramente che ce ne vorrebbe uno ogni 10mila abitanti. In base a questa valutazione, in Italia dovremmo avere 5.700 posti letto, mentre ce ne sono soltanto 500. A fornire la maggior parte dei dati è WAVE (Women Against Violence Europe), network di associazioni che si battono per i diritti umani di donne e bambini, con sede a Vienna, il cui monitoraggio del fenomeno è costante nel tempo. E’ sempre WAVE che ci dice che in Austria, a fronte di più di 4 milioni di donne, ci sono 30 case rifugio; in Spagna, invece, le strutture che accolgono in segretezza le vittime di violenze sono 189, per 22 milioni e mezzo di donne. Purtroppo l’Italia si distingue sempre, dal momento che, con oltre 30 milioni di donne, le case sono 54. Sempre secondo l’Unione europea, mancherebbero 80 posti letto in Austria, 107 in Spagna, addirittura 5.211 nel nostro Paese. Impossibile dire come riuscire a colmare questo vuoto. La cosa ancora più drammatica è sapere che, avere le strutture di ascolto e accoglienza necessarie, ridurrebbe sensibilmente il fenomeno. Così è successo in Spagna dove, dal 2004, attraverso le giuste leggi e procedure, è diminuito del 33 per cento. Ma torniamo alla nostra realtà. Guardando la Calabria, la situazione non migliora certamente, visto che gli unici 2 posti per le donne che hanno bisogno di un luogo protetto si trovano in un istituto religioso, tra le montagne della Sila. Il solo Centro antiviolenza della regione, invece, ha sede a Cosenza, ed è dedicato a Roberta Lanzino, violentata e uccisa 24 anni fa, a soli 19 anni. Tre anni fa ha dovuto chiudere la sua casa rifugio per mancanza di fondi. E la Sicilia? L’unico sportello antiviolenza della provincia di Enna si trova a piazza Armerina, e lo gestisce l’associazione “Donneinsieme”. E’ aperto il lunedì pomeriggio e il giovedì mattina, quando le donne escono a fare la spesa, e non sono controllate dai loro aguzzini. L’associazione è balzata agli onori della cronaca per avere allestito, nella piazza del paese, una singolare installazione con 360 paia di scarpe da donna, tutte


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.