Sòt 'l balér

Page 1



Sót ’l balèr

Giustina Favia Zambon Cornelio Zambon

Otto composizioni musicali... per cantare, sorridere, meditare.

Artugna Cantori e Danzerini del Friuli

Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia


© 2009 · l’Artugna Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pordenone) www.naonis.com/artugna

© 2009 · Gruppo Artugna Cantori e Danzerini del Friuli via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pordenone) www.artugnadanzerini.it

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del volume, testi inclusi.

REALIZZAZIONE EDITORIALE

REALIZZAZIONE MUSICALE

Redazione Vittorina Carlon Francesca Janna Vittorio Janna Roberto Zambon

Coro Artugna · Cantori e Danzerini del Friuli

Ideazione, progetto grafico e impaginazione Vittorio Janna

Strumentisti Stefano Mutton, Michele Zanetti (fisarmoniche) Fabrizio Zambon (contrabbasso) Elena Zambon (tastiera)

Trascrizione elettronica spartiti Daniele Biasutti Stefano Mutton Elena Zambon

Direzione del coro Fabrizio Zambon

Musica Giustina Favia Zambon

Commento introduttivo ai canti a cura di Marta Zambon

Testo Cornelio Zambon Marìn, Giustina Favia Zambon

Disegni Archivio periodico l’Artugna Maurilio Basaldella Guido Benedetto Umberto Coassin Ivan Giorgio Manenti Ruggero Zambon

Registrazione Notabene di Gianni Zanchetta, Sacile (Pordenone) eseguita presso l’Oratorio San Pancrazio di Roveredo in Piano (Pordenone).

Foto Archivio periodico l’Artugna Stampa Grafiche Risma

Un ringraziamento particolare alla parrocchia di San Bartolomeo Apostolo di Roveredo in Piano (Pordenone) per la gentile ospitalità.

Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo di

Comune di Budoia

Finito di stampare nel mese di novembre 2009


Musica e vita

Molte delle canzoni di Cornelio Zambon Marìn e di Giustina Favia, presentate in questo volume, non sono inedite per i lettori de l’Artugna, perché alcune di esse sono già state pubblicate nel tempo sulle pagine del giornale, ma mai come in questo libro hanno trovato una collocazione organica e analitica. L’opera è strutturata in due parti. La prima raccoglie cinque canti nella viva ed arcaica parlata dardaghese, che Cornelio tanto amava. In queste pagine le parole dell’autore incontrano la musica di Tina, la moglie che si lasciò amorevolmente coinvolgere nell’originale avventura, e diventano un tramite di conoscenza e di diffusione della cultura popolare dei nostri paesi. Nella seconda parte della raccolta trovano spazio brani in lingua italiana, scritti e musicati esclusivamente dalla maestra Giustina, che trattano tematiche universali. L’opuscolo si propone di essere strumento di lettura e di approfondimento dei temi delle canzoni, e – grazie anche alla rilegatura con spirale – un mezzo funzionale a quanti, singoli, gruppi o corali, volessero intraprendere l’esecuzione dei canti. Con questa pubblicazione, che avrebbe fatto gioire Cornelio giunto recentemente al termine del suo cammino terreno, l’Artugna intende diffondere un patrimonio musicale esclusivo del suo microcosmo al fine di tramandare parlata, tradizioni e storia della sua gente alle giovani generazioni di Dardago, Budoia e Santa Lucia ed in particolare agli alunni delle scuole locali. VITTORINA CARLON, VITTORIO JANNA, ROBERTO ZAMBON

Dardago. Rosa comacina (particolare), bassorilievo sulla parete esterna, lato sud, dell’antica pieve di Santa Maria Maggiore.


Il Gruppo Artugna, Cantori e Danzerini del Friuli

Il Gruppo Artugna è nato nel 1977 con la partecipazione al XIX Convegno Eucaristico Nazionale di Pescara in rappresentanza del Friuli, grazie alla collaborazione degli allora parroci di Dardago e Roveredo in Piano: don Giovanni Perin e don Mario Del Bosco. Il nome deriva dal torrente che attraversa i paesi di Dardago, Budoia e Santa Lucia; scendendo verso la pianura si incontra Roveredo in Piano: i cantori e danzerini dell’Artugna, attualmente una cinquantina, provengono principalmente da questi quattro paesi. Il Gruppo Artugna vuole essere soprattutto un’occasione di incontro e aggregazione per i ragazzi delle nostre comunità, promuovendone la crescita umana e cristiana, senza tralasciare le proprie origini culturali: per questo si pone anche l’obiettivo di conservare il ricordo delle usanze locali nei nostri paesi e di farle conoscere a popoli con cultura diversa. Il Gruppo si esibisce in un repertorio di canti e danze folcloristici appartenenti alla tradizione friulana, ma anche di altre regioni, visto che spesso rappresenta l’Italia fuori dal territorio nazionale. Per la sua attività anche corale l’Artugna partecipa all’animazione delle Sante Messe ed è iscritta alla Federazione Internazionale dei Pueri Cantores. In oltre 30 anni di attività i cantori e danzerini dell’Artugna hanno raccolto numerosi successi, sia in Italia sia all’estero, in paesi come Spagna, Olanda, Francia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Polonia, Germania, Austria e Svizzera. In occasione del trentennale è nata l’idea di recuperare un gruppo di canti scritti

dal nostro compaesano Cornelio Zambon e musicati dalla maestra Giustina Favia a noi particolarmente cari per la loro esclusività: essi infatti sono scritti proprio nel nostro bel dialetto dardaghese, che certo non pretende di essere una lingua, ma, rispetto alle villotte friulane, ci identifica in maniera ancora più personale e unica. Tre di questi canti No te pói pì sposâ, Torne a ciàsa e Sót ’l balèr erano stati appositamente composti dagli autori per l’Artugna su invito di don Giovanni, per caratterizzare il repertorio canoro originario del gruppo. Avendo avuto l’occasione di recuperare questi brani per l’incisione del CD, l’Artugna si ripropone di reintegrarli nel repertorio attuale arricchendolo con un ritorno alle origini. GRUPPO ARTUGNA, CANTORI E DANZERINI DEL FRIULI


Folklore e gruppi folcloristici

La richiesta di scrivere due righe su folklore e gruppi folcloristici mi arriva proprio in un momento propizio: è stato inaugurato il 13 giugno 2009, a Castelraimondo (Mc), il Museo Nazionale del Costume Folcloristico, ideato e realizzato dal Collegio Scientifico della F.A.F.It. (Federazione delle Associazioni Folkloriche Italiane), di cui anch’io faccio parte. La scelta del tema del museo ha costretto gli ideatori a serie e profonde riflessioni, sviluppate in un apposito convegno su ‘costumi di scena’, ‘attività folcloristica e riproposizione della cultura popolare’, «gruppi folcloristici e gruppi folclorici». Mi torna dunque utile sintetizzare quanto emerso, soprattutto dai due interventi di Daniele Parbuono e del sottoscritto, per fornire qui qualche spunto di riflessione sulle funzioni proprie dei gruppi folcloristici. Il termine folklore viene utilizzato per la prima volta nel 1846 da William John Thoms; è formato da due parole inglesi, folk e lore, che significano ‘popolo’ e ‘disciplina’, per cui, sintetizzando, si può optare per la dicitura ‘cultura del popolo’, ma cultura del popolo e basta, senza riferimenti precisi a tradizioni, storia, situazioni collocabili in tempi ben definiti. Popolo inteso come ‘classe sociale popolare’, esistita nel passato e presente anche oggi, con differenziazioni legate ai vari momenti storici. Questa interpretazione è ormai consolidata ed è anche accettata dagli studiosi dell’argomento. Stando così le cose, è bene rimuovere subito un errore ricorrente, quello cioè di collegare la parola folklore a una serie di suggestioni che rimandano al passato:

folklore uguale a tradizione e quindi ‘il vecchio mangiare sano’, ‘le canzoni e i balli della nonna’ e quant’altro, da contrapporre magari alla più pesante realtà presente. Folklore, invece, è ‘cultura del popolo’, che non vuol dire ‘cultura del passato del popolo’. Se folklore è questo, che cosa sono allora i gruppi folcloristici? Forse gruppi di folklore, gruppi che fanno folklore, come si sente spesso dire? No, essi non fanno folklore, cultura popolare, ma interpretano la cultura popolare di un’epoca e la traghettano nel futuro attraverso le categorie del presente, per evitare che conoscenze, abilità, tecniche di lavoro, forme di divertimento vadano perdute. I gruppi folcloristici hanno quindi una grande missione culturale da svolgere; ma ne hanno anche un’altra non meno importante: essi operano come ‘agenti di coesione sociale’, sono strumenti dinamici attraverso i quali si riesce a ricostruire rapporti umani. Si può quindi affermare che i gruppi folcloristici svolgono funzioni che vanno oltre la riproposizione più o meno corretta di soggetti folclorici, in quanto la loro funzione sociale prevale su quella culturale. Questo pensano dei gruppi folcloristici gli attuali studiosi della materia; e così sono anche cambiati gli atteggiamenti nei confronti di essi: non viene più sottovalutato il loro operato, tacciandoli di superficialità, ma sono considerati per la loro importante funzione sociale oltre che culturale. Anche ai gruppi è però richiesto di fare la loro parte: evitino di riempirsi la bocca, come molti purtroppo fanno, di ‘radici culturali’,


di ‘costumi originali’, di ‘canti e balli autentici’. Ed è proprio sull’aggettivo ‘autentico’ che merita di spendere ancora due parole: non esistono beni materiali – manufatti, attrezzi, abiti – o immateriali – canti, danze, racconti di tradizione orale – autentici, ma esistono forme dinamiche da collocare intelligentemente nel tempo. I costumi di stoffa acquistata al mercato, confezionati dai gruppi folcloristici per le rappresentazioni sui palchi o nelle sfilate, non sono meno autentici dei vari capi che indossavano le nostre donne cento anni fa. Il problema sta nella loro storicizzazione e nella contestualizzazione: questi costumi hanno ‘altre radici’, ma queste non sono meno culturali di quelle dei mutandoni della nonna. Al Gruppo Artugna, Cantori e Danzerini del Friuli, che indirettamente anch’io ho seguito nei loro primi anni di vita, ho voluto modestamente proporre queste riflessioni, nella speranza che li possano aiutare a capire quale sia e quanto importante sia il loro ruolo nella vita culturale e sociale del loro paese.

E per rendere più efficace questa mia sollecitazione voglio utilizzare, quasi come metafora, l’esortazione che viene da alcuni versi di una canzone della presente raccolta, quella dedicata alla Comare Tonina: «Meti sù ‘l vestito meio / tira sù chiei poc ciaviei / te ciatarà i pì biei». Continuate ad indossare con dignità il costume più bello, riordinate e utilizzate le potenzialità vostre e il patrimonio da trasmettere che ora avete in consegna… e le soddisfazioni e i risultati saranno garantiti. CARLO ZOLDAN


Cornelio ed io all’ombra del balèr

L’amore. Questo c’è in queste canzoni. L’amore per Elio, mio marito che ci ha lasciati; l’amore per la musica, che continua ad addolcire il dolore della sua assenza; l’amore per Dardago, di Cornelio in primis, viscerale e magnetico, e quello mio, di donna pugliese, di «maestra Tina» che ha ritrovato in questo paese ispirazione e tranquillità per la composizione. L’amore, già l’amore. L’amore è anche l’emozione di ascoltare per la prima volta queste canzoni da un CD, un’emozione profonda, resa ancor più struggente guardando Elio, oramai molto malato in un letto d’ospedale, sforzarsi di cantare ancora le sue parole mentre ascolta e ‘contempla’, anche lui per la prima volta, i brani dalle cuffiette di un iPod. Anche questo è amore, che le nostre figlie Roberta e Romana, che la redazione de l’Artugna, che Fabrizio Zambon, che il Gruppo Folcloristico e che i suoi paesani, con questo gesto e con il progetto di questo libro e del CD, hanno voluto tributargli prima del suo ultimo saluto. Tutto nacque intorno al 1978, quando don Giovanni Perin, allora pievano di Dardago, venuto a conoscenza di alcune nostre piccole composizioni dialettali, ci sollecitò a continuare e a dar loro forma di canzone più strutturata. Don Giovanni era una fucina di idee; già aveva ideato il giornale l’Artugna e istituito il Gruppo Artugna, Cantori e Danzerini del Friuli. Di ogni nostra canzone faceva editare il libricino con lo spartito illustrato da disegni e forse già meditava la registrazione di un disco futuro.

Fu sempre lui a riabilitare il vecchio teatro di Dardago – inagibile da anni – per farmi eseguire il mio primo concerto pianistico in paese. Proprio 1978 è datata Sót ’l balèr. All’indomani della sua esecuzione pubblica in piazza, don Giovanni ricevette le ‘rimostranze’ dei dardaghesi il cui soprannome non era stato citato nel testo. Insieme a lui risolvemmo la questione aggiungendo nuove strofe e ristabilendo così gli equilibri nominali e ‘sociali’. Le altre canzoni sono state composte durante il periodo estivo, quando, prima da Brindisi e poi da Treviso, venivamo a Dardago per concederci qualche breve periodo di riposo. L’anno 1990, per noi, segna il ritorno definitivo al paese natale di Cornelio. Io sedevo al piano e lui cominciava a decantare i versi che aveva scritto; testi in forma di poesia che insieme aggiustavamo per adattare la metrica e rendere più musicali le parole secondo la melodia che componevo (la vostra parlata l’avevo assimilata nelle conversazioni casalinghe con Elio). Personalmente, quella che mi tocca il cuore e desta sempre in me un’intensa emozione è Torne a ciàsa. Qui c’è tutto lo struggente desiderio di Elio che mi aveva espresso fin dal nostro primo incontro ad una festa da ballo a Brindisi. «Quando andrò in pensione, io tornerò a casa, ai miei monti, alla mia terra». La vita e la musica lo hanno esaudito. GIUSTINA FAVIA ZAMBON



PARTE

1




Spesso le piante fanno storia con gli uomini. Nascono, crescono, invecchiano e, come gli uomini, muoiono. Per ogni dardaghese quando si dice balèr ci si riferisce inequivocabilmente al platano secolare che ha regalato la sua ombra a più generazioni passate per la piazza del paese, testimone degli eventi più o meno importanti, ma soprattutto della vita quotidiana, del via vai di chi si affretta a far la spesa, di chi si reca in chiesa, di chi riposa al bar, di chi passa e di chi sosta in piazza. La piazza è senz’altro il luogo di ritrovo del paese, come la casa lo è per la famiglia. Effettivamente il paese è quasi una famiglia, dove più che i cognomi (pochi per essere identificativi), sono significativi i soprannomi, che nell’essere pronunciati rievocano la storia di uno o dell’altro ramo degli Zambon, degli Janna, dei Bastianello… La canzone quindi non è solo una dedica al balèr ma un’allegra celebrazione della vita paesana, con le bucoliche descrizioni del paesaggio e l’originale girotondo di soprannomi. Tratto da l’Artugna, aprile 1978, n. 25


Dardàc ’l é sót al Crep l’Artugna ’l é là vithina i bosc i é tains e biei i é senpro plens d’athiei.

Dardàc ’l é sót al Crep l’Artugna ’l é là vithina i bosc i é tains e biei i é senpro plens d’athiei.

Al son de le cianpane su l’alto cianpanil al tin in alegria la dhent par dut al dì.

I coi i é duth intor i prath i é plens de flôrs la dhent la stà contenta pur de magnâ polenta.

Lùthol, Cùssol, Remondìn, Marcandéla, Geromìn, Sartorèl, Barisèl, Caporàl e Sghegherèl.

Crosta, Sclofa e Colùs, Theco, Pertia e Bocùs, Stort, Trùcia e Fusèr, Cep, Cunìcio, Danùt, Tessèr.

Scatiròt e Trantheòt, Cianpanèr e Thelòt, Parmesàn, Tarabìn, Batistèla e Cechelìn.

Raspa, Muci e Rosìt, Bèri, Pétol e Codìt, Mao, Salute e Ciarnél, . Glir, Panèra e Peghéth.

Careghéta, Vialmìn, Bonaparte e Marìn, Moreàl, Maressiàl, Cariòla e Pinàl.

Stièfin, Mòdola e Thanpògna, Ite, Cùcola e Simòn e Barnardho... e Pagòto... e Carnìtha... duth quains cà.

Puìna, Ciùti e Bedìn, Momoléti e Dolfìn, Scroc, Tavàn, Palathìn, Monte, Thisa, Vendramìn.

Duth quains cà a ciantâ sot ’l balèr dut al dì da matina fin mesdì.

Pala, Canta, Truc, Tetèc, Scòpio, Tùnio e Mugnèc, Pol e Biso, Frith, Burèla, Canpanela, Curadela.

A Dardàc ’l è ’na bela conpagnia a ciantâ in alegria se va duth e «così sia».

Duth quains cà a ciantâ sot ’l balèr dut al dì da matina fin mesdì. A Dardac ’l è ’na bela conpagnia a ciantâ in alegria se va duth in osteria.

Sót ’l balèr


Sót ’l balèr Musica di Giustina Favia Zambon Testo di Cornelio Zambon





Eseguita per la prima volta dai cantori dell’Artugna durante il Dardagosto 1979. È dedicata a tutti coloro che sentono vivo e struggente il desiderio di rivedere, perché ormai lontani, la propria casa, o di ricordare i giorni felici e beati della fanciullezza. Alla città viene contrapposto il paese, in un’evocazione che con il suono delle campane, le immagini dei boschi, i sapori della tavola, il profumo dell’aria fina, coinvolge tutti i sensi. La composizione, nello sviluppo armonico del canto, tutto pieno di reminescenze e disposto in due movimenti, non rende più amara la nostalgia e più triste il ricordo, ma conduce verso il gioioso superamento di ogni avversità. Torne a ciàsa infatti, più che una speranza, è una certezza. L’essere lontano da casa è anche uno stato dell’anima: nella frenetica società attuale l’uomo è spesso alienato, fuori casa. All’uomo di oggi ogni espressione artistica, anche la canzone più ingenua è popolare, può recare un messaggio ed un beneficio che spesso non gli è riconosciuto. Ed ecco che tra un impegno e l’altro ci si sorprende a cantare Torne a ciàsa: e questa non è una sciocchezza… forse è la cosa più saggia che possiamo fare. Tratto da l’Artugna, aprile 1979, n. 28


Domàn mi torne a ciàsa che ài tanta nostalgia par mi che soi lontàn lontàn da ciàsa mea.

Voi ciaminâ par dut al dì a dî de ca, a dî de lì magnâ polenta e formài come quan ch’ere canài.

I é tains i me ricordi del pìthol me paéis al cuor senpro al me dhis: ritornalo a vedhé.

Adhés mi soi lontàn par guadhagnâ al sudhàt me pan domàn mi vignarài domàn domàn sarai.

Le cianpàne mi voi a sentî del me vecio cianpanìle fora pai bosc mi voi andâ e po’ insieme beve e ciantâ.

E riposâ ’n te la me ciàsa fata de tóle, fata de crode plena de sogni de dhoventù che adhes... no i «torna più».

Althasse a la matina al prin levâ del sol e respirâ aria fina sentàt in riva al piòl. Se la cità ’l é bela mi ’n ài plen la scarsèla a ciàsa voi tornâ e duth voi a bussâ. Ciante, ciante senpro de pì a mesdì sarai a ciàsa pita e patate mi voi a magnâ e co’ vealtre senpro a restâ.

Torne a ciàsa


Torne a ciĂ sa Musica di Giustina Favia Zambon Testo di Cornelio Zambon





La composizione, lineare nella struttura melodica, si riferisce con onore e genialità nella bella tradizione della nostra canzone popolare, dove parole e musica, pur nella loro semplicità, non hanno mai un valore scontato o banale, ma lasciano trapelare un senso più profondo, quello della vita. Il testo è un vivace scambio di impressioni tra due giovani alle prese con il problema del «mettere su casa e famiglia». Il tema torna particolarmente attuale in tempi in cui la società dei consumi, delle scalate ad ogni costo al successo, rende più disumani i rapporti tra le persone, portando aria di tempesta o di noia, di sfiducia o di temerarietà anche nello spazio più nobile, più qualificante e più importante della società, la famiglia, spegnendo l’antica gioia di vivere e del trovarsi insieme nel tempio sacro della casa, anche se vecchia e non ancora sicura. Ma «la vita val più del vestito», «l’amore più del calcolo», «un bel canài* più della cassapanca». Tratto da l’Artugna, marzo 1980, n. 31

* bambino


Comòt avón da fâ me nina maridhàte no pói pì in ’sti tenps plens de guai no se sposaróno mai no se sposaróno mai. Dut pì ciàr ’l è dheventàt me soi pròpio sconfortàt i schei che ciàpe pì no i basta pa’ trincâ ’n poc de graspa pa’ trincâ ’n poc de graspa. Sù, nino mio, no stâ a pensâ in qualche maniera se farà me pare e me mare i à da giudhàne parchè co ti, mi voi maridhàme. Mi te voi tant bin no stâ dhame ’sto tanpìn se po’ dhopo nass un fiól che? me bute dhò dal piól? che? me bute dhò dal piól? Restón senpro biei nuìth contenth e boni coma scrinth se volón se basón e la ciàsa no la paión e la ciàsa no la paión. Amor mio che gran dolor che te me dhae, fa mal al cuor e duth i sa che avón da sposasse invethe... tac... adhés te me lasse. Nina mea fate coràio ancia mi no soi contént cossa avón adhés da fâ sol un thurlòt, ’l se pol sposâ sol un thurlòt, ’l se pol sposâ. Scòlteme comòt farón un domàn se sposaròn no te poi pì lassâ e co’ ti mi voi restâ e co’ ti mi voi restâ. E mi te dise, metón su ciàsa don a dhormì lassù in Brognàsa ma a sposate mi te voi ancia a magnà pasta e fasói. E che sai che te voi bin e a ciàsa mea un canài ’l vin bin. E che sai che te voi bin in ciàsa senpro un bel fiasco de vin.

[ * ] COSSA DHIRÀLO, COSSA DHIRÀLO

«MARIDHÀTE NO PÓI PÌ»

NO I SE PÓL PÌ SPOSÂ NO I SE PÓL PÌ SPOSÂ ’L È SCONFORTÀT, ’L È SCONFORTÀT

THENTHA LA GRASPA COMÒT SE FÀ THENTHA LA GRASPA COMÒT SE FÀ

I VOL BIN, I VOL BIN NO STA DAE STO TANPÌN

’L SE BUTA DHO DAL PIÓL ’L SE BUTA DHO DAL PIÓL (osàdha)

THENTHA LA CIÀSA COMÒT I FARÀ THENTHA LA CIÀSA COMÒT I FARÀ

ANCIA I PARÉNTH, ANCIA I PARÉNTH

SOL UN THURLÒT ’L SE PÓL SPOSÂ SOL UN THURLÒT ’L SE PÓL SPOSÂ

I À DA SPOSASSE, I À DA SPOSASSE I À DA SPOSASSE, I À DA SPOSASSE

[ * ] coro

No te pói pì sposâ


No te pói pì sposâ Musica di Giustina Favia Zambon Testo di Cornelio Zambon




Dardago, via Castello.




La protagonista di questa canzone è una macchietta popolare, una ragazza che, tutta presa nei suoi pensieri, dimostra più dei suoi anni e sembra dimenticare di essere in età da marito. Ma, una volta rincurata* ecco che si affacciano i pretendenti, con i loro pregi e difetti: ognuno dei contendenti proviene dai tre paesi del Comune, ironico riferimento ai piccoli campanilismi e rivalità che da sempre caratterizzano i rapporti tra Dardago, Budoia e Santa Lucia. Tratto da l’Artugna, agosto 2005, n. 105

*sistemata con cura


’N là vato comare Tonina ’n là vato de bona matina mi te vedhe duta ingropàdha come un gòt plen de thonclàda.

A Dardàc ’l è ’n bel fiól ma i plas a dormî missól e de not al ronthèea e ’n tel lièt se remenéa.

Cori sù a ciatàte ’n moroso dhòvin o vecio ma «decoroso» se te stai a spoiâ margherite te pól dî a dhormî co’ le pite.

A Budhóia ’n è un altro tant vecio ma molto scaltro al lavora dut ’l dì e a la sera al vol dormî.

No’ sta stâ mai pì da missóla ciàta un che ’l te consola va’ de cà e de là.

I n’é un de Santa Luthìa che ’l vol portate via ’l à poci ciàviei e tanta pantha ma ’l è un fiòl plen de creantha.

Meti sù ’l vestito meio tira su chiei poc ciàviei te ciatarâ i pì biei. Su scominthia a profumàte buta via le thavàte va’ de cà e de là. No’ sta stâ mai pì da missóla cori cori a ciaminâ, un moroso te ciatarâ e bel prest te te sposarâ.

Veto veto te l’à ciatàt e ’l è pur inamoràt che festa se farâ! Va’ invidhâ duth i parénth i sonadhórs coi sies struménth che festa se farâ! Veto veto te l’à ciatàt e ’l è pur inamoràt che festa se farâ! Comare Tonina mea, al Signor t’à da rengrathiâ che chel a l’altar bin prest te sposarâ.

Comare Tonina


Comare Tonina Musica di Giustina Favia Zambon Testo di Cornelio Zambon






Budoia. Il municipio visto dalla piazzetta Sant’Andrea.




In ogni paese c’è un luogo di ritrovo, che sia un bar o una bottega, dove si è al centro di un piccolo mondo, dove si possono vedere tutti quelli che passano, dove le novità arrivano in anteprima e dove c’è sempre qualcuno con cui confrontarsi, più o meno seriamente, sui piccoli e grandi temi d’attualità. In allegra compagnia poi, magari con l’aiuto di un bicchiere di vino, ogni problema della vita quotidiana si può ridimensionare… A Budoia questo luogo è lo storico bar da Renè, un tempo anche rinomato ristorante, da sempre gestito da Renè e la moglie Rosapia.


Se te vadhe da Renè te so propio in miéth al mondo. La te védhe bruth e biéi dòvins veci plens de schei. Dovenùte rotondùte sgiàveladhe e bin passùdhe là se béif e là se magna là ’l è propio ’na cucàgna. Ma bevendo tante ombrete rosse, negre e biondete se dismìntia al Padre Eterno e chel mona de governo. Se te vadhe da Renè te so propio in miéth al mondo. La te védhe bruth e biéi dòvins veci plens de schei. Dovenùte rotondùte sgiàveladhe e bin passùdhe là se béif e là se magna là ’l è propio ’na cucàgna. Un bel fóc ’n te le vene el cor sù e ’l te fai bin se dismìntia i bruth pensiérs e le rogne de duth i dhis.

Da Renè


Da Renè Musica di Giustina Favia Zambon Testo di Cornelio Zambon

SOPRANI

CONTRALTI

BARITONI

S

C

B


S

C

B

S+C

B

S+C

B



PARTE

2




Scritta nell’ottavo centenario della nascita di San Francesco d’Assisi (1182), è una composizione preghiera che parla dell’erba come del sole, delle nostre gioie come dei nostri problemi, nella maniera semplice che era propria di San Francesco: senza aver composto trattati di psicologia sociale, saggi sui sistemi ecologici o studi sulla preghiera è diventato il santo che ha segnato più profondamente la civiltà universale in senso assoluto, tanto che arte, letteratura, pensiero, costume, vita e santità hanno a che fare, ancora oggi, con quello che è diventato il «Santo degli Italiani». Lauda Nova è anche «nostra», destinata ad allietare gli animi e creare fraternità nei nostri paesi bagnati dall’acqua, «umile pretiosa et casta» dell’Artugna, in questa nostra «sora matre terra» che «l’Altissimo Onnipotente, bon Signore» ci ha messo tra le mani. Tratto da l’Artugna, aprile 1982, n. 37


Voce di creatura come il poverello canta sempre il Signore che per te creò. L’erba e i fiori con color la Tua mano dà. Sei Signore vero Padre giochi insieme a me. L’acqua chiara lui cantò la lodò come sorella. Per la luna e per le stelle gloria a Te, Signor! Cieli immensi avanti a me, luce agli occhi miei, fan gioire i tuoi figli anche nel dolor. Ed il lupo accarezzò e gli disse: «torna buono!» Tu lo sai, mi’ Signore, quel che son per Te. Io confido in Te, Signor, canto il Tuo perdon sei mia rupe e Redentore torno a dire a Te: io confido in Te, Signor, canto il Tuo perdon sei mia rupe e Redentore gloria dentro me.

Lauda Nova


Lauda Nova Musica e testo di Giustina Favia Zambon

SOPRANI

CONTRALTI

BARITONI

S

C

B


S

C

B

S

C

B




Abbandonarsi totalmente al Signore, alla sicurezza delle sue mani, al conforto del suo sguardo. In questo risiede la richiesta salvifica dell’uomo a Dio. Nella speranza e nell’amore la fede si rafforza, diventa cammino, si traduce nell’esultanza di un canto rivolto al Signore per chiederne l’attenzione e diventare guida, senso e protezione della nostra vita.


O mio Signor volgiti a me ed il mio cuor esulterà, sei Tu il mio asilo confido in Te la mia speranza ho posto in Te. O mio Signor volgiti a me ed il mio cuor esulterà, sei Tu il mio asilo confido in Te la mia speranza ho posto in Te. La mia speranza ho posto in Te, la mia sorte nelle tue mani. O mio Signor volgiti a me ed il mio cuore esulterà.

Lode di speranza


Lode di speranza Musica e testo di Giustina Favia Zambon

SOPRANI

CONTRALTI

TENORI + BASSI

S

C

T+B


S

C

T+B

S

C

T+B


S+T

C+B

S+T

C+B

S+T

C+B


Santa Lucia. Via Besa-Fort.




Un inno di gioia, un canto esortativo di una missione che ci è stata affidata: annunciare la gloria del Signore tra i popoli. Con la stessa allegrezza disponiamo il nostro cuore a Lui per rendergli onore, servirlo e cantargli la nostra gratitudine. Un canto nuovo è una lode universale che coinvolge tutto il creato divino, dagli uomini alla natura in una fratellanza scandita dal festoso Alleluia ripetuto come l’esultante sintesi della gioia del nostro animo.


Un canto nuovo cantate al Signor e benedite il nome di Lui e tra le genti annunziate la gloria con allegrezza servite il Signor. Fremono i popoli la terra esulti Alleluia Alleluia. Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia. E tra le genti annunziate la gloria Alleluia Alleluia.

Un canto nuovo


Un canto nuovo Musica e testo di Giustina Favia Zambon

SOPRANI

CONTRALTI

TENORI

BASSI

S

C

T

B


S

C

T

B

S

C

T

B

S

C

T

B


Roveredo in Piano. Piazza Roma e la chiesa di San Bartolomeo.




Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.