Lacrime di Gioia

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Servizi Culturali è un'associazione di scrittori e lettori nata per diffondere il piacere della lettura, in particolare la narrativa italiana emergente ed esordiente. L'associazione, oltre a pubblicare le opere scritte dai propri soci autori, ha dato il via a numerosissime iniziative mirate al raggiungimento del proprio scopo sociale, cioè la diffusione del piacere per la lettura. Questa pagina, oltre a essere una specie di "mappa", le raggruppa per nome e per tipo. I link riportano ai siti dedicati alle rispettive iniziative.

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DESCRIZIONE: Gioia nasconde un segreto terribile, così grande da non avere il coraggio di parlarne con nessuno. L’unico confidente è il suo diario, che raccoglie i resoconti quotidiani di quello che le accade. Disillusa dal trovare una via d’uscita, subisce silenziosamente violenze e minacce. Ma proprio quando crede di non avere più alcuna speranza, una piccola luce inaspettata si accende nel buio. L'AUTORE:

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Valentina Papa, nata il 3 Maggio 1989 ad Agropoli (SA), vive in un paese in provincia di Milano, San Vittore Olona. Da sempre appassionata di libri e amante della scrittura, ha partecipato e vinto diversi premi letterari. Questo è il suo primo libro, scritto all’età di 17 anni.

Titolo: Lacrime di Autore: Valentina Papa Gioia Editore: Collana: Selezione 0111edizioni Pagine: 190 Prezzo: 14,00 euro

11,90 euro su www.ilclubdeilettori.com

Leggi questo libro e poi... - Scambialo gratuitamente con un altro oppure leggilo gratuitamente IN CATENA[leggi qui] - Votalo al concorso "Il Club dei Lettori" e partecipa all'estrazione di un PC Netbook [leggi qui] - Gioca con l'autore e con il membri della Banda del BookO (che si legge BUCO): rapisci un personaggio dal libro e chiedi un riscatto per liberarlo [leggi qui]



E' la nostra web tv, tutta dedicata ai libri. Se hai il video della tua presentazione, oppure un videotrailer del tuo libro, prima pubblicali su YouTube, poi comunicaci i link. Dopo aver valutato il materiale, lo inseriremo nel canale On-Demand di TeleNarro. Se hai in programma una presentazione del tuo libro nel Nord Italia e non hai la possibilità di girare il filmato, sappi che c'è la possibilità di accordarsi con Mario Magro per un suo intervento destinato allo scopo. Contatta Mario e accordati con lui.

PARLANDO DI LIBRI A CASA DI PAOLO ogni mercoledì alle 21 in diretta su TeleNarro La trasmissione di Paolo

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Federici dedicata ai libri. Ogni mercoledì alle 21 in diretta su TeleNarro. E' possibile vedere le puntate già mandate in onda sul canale OnDemand

"Bookino il Contastorie" ti racconta un libro in una manciata di minuti. Poi, potrai proseguire la lettura online, su EasyReader. E se il libro ti piace, potrai richiederne una copia in omaggio con l'iniziativa Adottaunlibro. Clicca su Bookino...

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IL CASSETTO DEI SOGNI A differenza di "Parlando di (prima trasmissione libri a casa di Paolo", questa prevista a FEBBRAIO 2010) trasmissione, condotta da Mario Magro e sponsorizzata dalla nostra associazione, tratterà solo libri della 0111edizioni. Anche in questo caso, i libri presentati sono scelti dal conduttore, che li seleziona fra una rosa di titoli proposti dalla casa editrice. VAI AL SITO

E' però possibile richiedere una puntata dedicata a un libro specifico, non compreso nell'elenco di quelli selezionati, accordandosi direttamente con il conduttore, Mario Magro.

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Con EasyReader puoi dare un'occhiata ai nostri libri prima di acquistarli. Sono disponibili online in corpose anticipazioni (circa il 30% dell'intero volume), che ti consentiranno di scegliere solo i libri che preferisci, evitando di acquistare "a scatola chiusa". In più, con l'iniziativa Adottaunlibro, puoi richiedere in regalo il libro che sceglierai. VAI AL SITO

CONCORSO IL CLUB DEI LETTORI VAI AL SITO

Se hai letto un libro di un autore italiano (edito da qualunque casa editrice), votalo al concorso Il Club dei Lettori e partecipa all'estrazione di numerosi premi. La partecipazione al concorso è gratuita.

In questo gioco a premi avvengono rapitimenti un po' anomali: le Gioca con la Banda del Booko vittime sono personaggi di romanzi, che verranno poi "nascosti" in altri romanzi a discrezione dei rapitori e per la liberazione dei (che si legge quali è richiesto un riscatto all'autore. BUCO) all'ANONIMA Qui entra in gioco la "Squadra di Pulizia", che tenterà di liberare il personaggio per evitare all'autore il pagamento del riscatto. In SEQUESTRI VAI AL SITO

questa fase sono anche previsti tentativi di corruzione da parte dei Puliziotti nei confronti dei rapitori... ma non è il caso di spiegare qui tutto il funzionamento del gioco... per il regolamento è meglio fare affidamento all'APPOSITA PAGINA. E' possibile giocare e andare in finale nei ruoli di RAPITORE, VITTIMA, PULIZIOTTO, GIUDICE e PENTITO. In palio c'è un premio per ognuna delle 4 categorie. Il premio, di cui inizialmente viene specificato solo il valore massimo, viene scelto dai rispettivi vincitori dopo il sorteggio.


Valentina Papa

Lacrime di Gioia

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com

LACRIME DI GIOIA Copyright Š 2010 Zerounoundici Edizioni Copyright Š 2010 Valentina Papa ISBN 978-88-6307-282-2 In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Maggio 2010 da Digital Print Segrate - Milano


a Massimiliano, perché nei nostri occhi vi è il riflesso del nostro amore alle donne ingiustamente maltrattate, perché questa storia, nella sua semplicità, possa darvi la forza di andare avanti alla mia famiglia, per infinite motivazioni... e la principale è semplicemente perché esiste e a mio zio Andrea, perché anche ora, dall’alto, mi è vicino nella realizzazione dei miei sogni. Grazie.



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Lei. Loro.

Chiudo gli occhi e tento di isolarmi. No, non esiste davvero questo corpo che preme sul mio. No, questo respiro affannato lo sto solo immaginando... così come non sono vere queste mani che graffiano la pelle e stringono e tirano e cercano posti che non possono, non devono raggiungere. Continuo a tenere gli occhi chiusi, non voglio vedere. Ma non posso impedirmi di sentire. -Oh Thomas lasciala un po’ a me, dai...- Marco ride. Ecco, questa risata non posso fare finta di non averla sentita. E un brivido involontario mi percorre la schiena. Ora il suo corpo è su di me, la sua voce perfida mi sussurra “Apri gli occhi, bella, apri gli occhi...”, ma io non voglio cedere e continuo a tenerli chiusi. Poi sento una zip abbassarsi e le sue dita furiose che cercano di aprire i bottoni dei miei jeans. Sussulto e cerco di dimenarmi, ma lui mi immobilizza in un attimo mettendomi una mano tra le gambe con forza e dicendo:-Devi stare ferma, hai capito? Non rispondo, anche se vorrei urlare dal dolore e dalla voglia di liberarmi da quella maledetta mano. Sento lo stomaco contorcersi dal disgusto quando mi tocca, ma cerco di controllarmi. Tremo. Un rumore improvviso lo fa staccare da me, e Thomas impreca mentre Davide e Simone si rifugiano in bagno a tutta velocità. Sento la voce di Davide mormorare soffocata agli altri:-Dai oh basta, andiamocene via...- e Marco mi lascia con una smorfia, spingendomi ancora una volta contro il muro. -Ti è andata bene, Gioia...- mi sussurra sulla bocca, e mi mordo il labbro inferiore cercando di spostare la testa di lato per non sentire quel respiro sulla pelle. Lui si sposta e sento alcuni passi frettolosi allontanarsi, la porta si chiude e improvvisamente c’è solo il silenzio a farmi compagnia. Senza riuscire a smettere di tremare apro gli occhi, e davanti a me c’è solo il muro grigio degli spogliatoi della palestra della scuola. Resto


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ferma a fissarlo con il cuore a mille, cercando di calmarmi, con le mani aperte e sudate sulla parete fredda. Ăˆ finita, sono andati via. Per oggi è finita. Ma il respiro non si calma, e lentamente mi accascio a terra scossa dai singhiozzi, mentre calde lacrime di terrore cadono silenziose sui jeans e sulle scarpe, incapaci di essere trattenute oltre. Sono gocce grandi e pesanti come questo orribile segreto, quest’incubo che mi impedisce di aprire gli occhi. E sono ancora qui, ad aspettare che qualcuno mi aiuti a risvegliarmi.


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Gioia

“Se è vero che ad ogni rinuncia, corrisponde una contropartita, considerevole... privarsi dell’anima... comporterebbe una lauta ricompensa..” Ma dov’è la ricompensa, Carmen, dov’è? Ho perso la mia anima. E intanto mi perdo anche in questa canzone... “Soffro nel vederti infrangere i principi sui quali era salda un’esemplare dignità...” E il modo in cui ti soffermi su quest’ultima parola, dignità, mi fa pensare che forse i miei principi non si basano su nulla, perché la dignità ormai non so nemmeno cosa sia. Chiudo gli occhi e l’immagine di me e Leonardo si fa fin troppo viva nella mia mente. E le lacrime tornano a cadere. Scusa, diario, scusa... non voglio bagnare questo foglio, c’è già così tanto di me in queste pagine, in queste parole... c’è già tutto di me... vuoi che vi lasci anche il mio sangue? Ma no, perdonami, mi sto sfogando con te che non hai colpe. È che ti vedo così... così umano, così parte di me... sarà che ho solo te, ormai. Perché mi sento proprio così, adesso. E non è solo questione di sentirmi sola: lo sono davvero. *G* -Gioia! A tavola! -Arrivo! Entro in cucina e mia sorella è già seduta, con gli occhi incollati alla televisione, mentre papà sta parlando con mamma di un suo collega di lavoro. Mi siedo anch’io e dopo esserci detti “buon appetito” iniziamo a mangiare, e intanto cerco di riscuotermi dai miei pensieri. Alzo lo sguardo verso il televisore e osservo la presentatrice sorridere e fingere di essere naturale nel parlare con un ospite del programma, poi lancio un’occhiata a mia sorella che la guarda con la bocca aperta.


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-Almeno chiudi la bocca, Sofia. -Shhh! Ecco qual è il ringraziamento che si riceve per cercare di educare una bambina di 7 anni. Continuo a mangiare e a un certo punto sento il cellulare vibrare in tasca. Un messaggio. Il cuore inizia a battermi più forte, è Leonardo. Sorrido. Devo parlarti, Gioia. Stasera passo da te. Il sorriso scompare, e improvvisamente mi rabbuio. Neanche una parola dolce, niente di niente. Che ne so, poteva metterci almeno “un bacio” alla fine. E invece no. Sospiro e mi rendo conto che sono ridicola. In fondo sono stata io a lasciarlo così, apparentemente senza motivo, sono stata io a volerlo. No, non è vero. So benissimo che non è così, purtroppo. Perché c’è stato qualcosa di più grande che mi ha costretto a farlo, qualcosa che altrimenti non avrei mai pensato nemmeno lontanamente di fare. E quasi me lo vedo davanti, il mio Leo, quasi mi sembra di potergli leggere nella mente. Lui così razionale, così dolce, sempre così comprensivo... lui che si chiederà dove ha sbagliato con me, cos’è successo di così grave per farmi cambiare idea. E sento una lacrima bruciare dal fondo del cuore. Tu non hai nessuna colpa, amore mio... se solo potessi spiegarti... -Che hai?- la voce squillante di Sofia mi riporta alla realtà. -Eh? -Che hai? -Ma che vuoi, Sofia, che devo avere... mangia, và... Lei mi guarda indispettita e si volta dall’altra parte. Scusa piccolina, forse quando avrai la mia età potrai capire... ma non te lo auguro. Finisco di mangiare in fretta, mi alzo e torno in camera mia. Stupidamente prendo la spazzola e inizio a pettinarmi i capelli, guardandomi allo specchio. Perché voglio essere carina? Stasera non mi dirà che lo sono. Stasera per lui sono la sua ex ragazza, niente di più e niente di meno. Sono la ragazza che l’ha mollato così, senza motivo. Perché lui i motivi non li sa.


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Come vuoi,Leo... Inviato. Tanto lo so che è inutile amore, tanto lo so che farai di testa tua come sempre. Tra poco sarai qui, in cerca di quelle risposte che non posso darti, in cerca di quel qualcuno che ti ha rubato il posto, ma che in realtà esiste solo nella tua testa. Dopo neanche qualche minuto, la sua risposta: Sto arrivando, scendi. Quante volte gliel’ho detto di non mandarmi sms mentre guida, quante... ma Leo è così, non mi ascolterà mai. A volte mi ricorda Sofia: anche se hanno 14 anni di differenza la testardaggine è la stessa. Vado in cucina dove trovo i miei che stanno ancora parlando. -Mamma, esco. C’è Leonardo. -Non tornare tardi. -Ciao. -Gioia, hai capito? -Sì, mà. Ciao. Chiudo la porta di casa ed esco. Leonardo è dentro la macchina, non si è nemmeno preso la briga di uscire. Mi avvicino e lo guardo dal finestrino, lui lo abbassa. -Beh? Puoi anche entrare. -Ah grazie. Non esci nemmeno a salutarmi. -Gioia, per favore... entra.- mi dice con una voce stanca. Troppo stanca. Entro e mi siedo, ben decisa a non avvicinarmi neanche di un millimetro per salutarlo. Lui mi guarda in attesa, e io gioco a fare finta di niente. -Come va? -Tu sì che sai sempre qual è la cosa giusta da chiedere.- risponde, arrabbiato. -Senti Leo, sto solo cercando di essere gentile. Cosa dovrei dirti? -Dimmi solo chi è. -Chi è chi? -Gioia per favore, io non ce la faccio più. Dimmi solo chi è, punto, stop, non voglio sapere nient’altro, te lo giuro. Non voglio neanche sapere da quanto uscite assieme, se ci sei stata mentre stavi ancora con me... non voglio sapere niente, solo il suo nome! Chiudo gli occhi, e per un attimo vorrei dirgli tutto, vorrei spiegargli ogni cosa. Perché questo Leo non se lo merita, no, non se lo merita proprio. Eppure non posso fare nulla.


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-Leo, io non so più come dirtelo... non c’è nessun altro nella mia vita. Io... sono innamorata di te, capisci? Solo di te!- e le lacrime premono, cercando di uscire. Mi trema anche la voce, lo so, e improvvisamente mi rendo conto che ho i brividi. Anche lui se ne accorge e si sporge oltre il sedile per stringermi. Mi prende la testa e me la appoggia sul suo petto, accarezzandomi i capelli. E basta quel gesto tenero per vincere ogni mia resistenza a queste stupide lacrime. Piango, piango senza ritegno e lui mi stringe forte senza dire niente. Vorrei solo poterti spiegare tutto, amore mio, vorrei solo essere capace di parlare, non avere paura di niente e di nessuno... ma non ci riesco, sono troppo debole. Dopo un po’ mi calmo e lui mi scosta dolcemente i capelli dal viso. Lo guardo e mi rendo conto che anche lui sta trattenendo le lacrime a stento. Ma è molto più bravo di me. Restiamo per qualche secondo in silenzio a guardarci, e improvvisamente si abbassa su di me e mi bacia. Non oppongo nessuna resistenza, anzi mi aggrappo con tutte le mie forze a lui, a quel bacio, a quell’attimo in cui le nostre labbra si cercano e si uniscono per parlarsi d’amore. E lascio che la mia bocca gli riveli tutto, permetto al mio amore di parlare per me. Perché io non posso farlo. -Ti amo, Gioia... e ti sembrerà scontato, ma sono perso senza te. Ti prego, dimmi che non vuoi veramente lasciarmi. -Leo, io...- sì, io. Ma io che? Ti guardo e non ho il coraggio di parlare. Come posso stare con te, come posso mentirti così? -Gioia ascolta... io non so che sia successo, non so chi sia questa persona né perché sia entrata nella tua vita. Voglio solo che tu mi dica la verità, perché ho bisogno di sapere cosa sta succedendo... non ce la faccio, capisci? -Ma non c’è nessuno a parte te! -E allora cosa c’è? Perché volevi lasciarmi, perché? Non mi ami più? -Leo... -Se sì dimmelo. Anche se sappiamo entrambi che menti, perché i tuoi occhi e il tuo bacio dicevano il contrario. Sospiro. È inutile cercare di farlo ragionare, lo so. Anche perché non esistono spiegazioni plausibili, e so benissimo che l’unico modo per sistemare le cose è dirgli la verità. Che faccio? Lo guardo negli occhi e ho quasi paura che possa leggermi nella mente, e da questo capisco che non posso parlare. Non posso, amore, scusami.


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-Devo andare, Leo.- faccio per uscire, ma sento la sua mano sul mio braccio. -Gioia... ti prego. Ti prego. Chiudo gli occhi e cerco di opporre resistenza, ma dentro di me sento il cuore cedere a poco a poco. Mi giro e lo guardo: -Leo... ti amo anch’io, lo sai. Sai che ti amo, ma sai anche che non c’è nessun altro. Se mi ami lo sai, quindi ti prego non insistere. -Va bene.- si appoggia al sedile come senza forze, e io mi avvicino. Lui resta steso con gli occhi chiusi in attesa di un bacio. Le mie labbra sfiorano rapidamente le sue, poi apro lo sportello ed esco. -Buonanotte. Non rimproverarmi, diario... lo so, ho sbagliato, avrei dovuto spiegargli la verità. Ma tu al posto mio l’avresti fatto? Non voglio dirgli nulla per un semplice motivo, e tu sei l’unico a cui posso confessarlo: ho paura. Marco è solo un ragazzo, è vero, ma ho comunque paura di lui. Paura di quello che potrebbe fare a Leo, come ha minacciato. E Thomas, Thomas che mi terrorizza già con uno sguardo. Solo ripensare alle sue parole mi fa rabbrividire anche ora che sono al sicuro sotto le coperte: -Se dici qualcosa al tuo fidanzatino ve la faccio pagare...- e le sue mani su di me, il suo sorriso che si apriva perfido sul mio silenzio. Non ce la faccio, ho paura. Ma un messaggio a Leo glielo devo. Scusa amore. *G*


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Marco

Un clacson suona insistentemente sotto la finestra di casa. -Ma che cazz... chi è? -Oh, Marco! Muoviti! Simone. Lo sapevo, poteva essere solo lui. Mi affaccio alla finestra e lo guardo con indifferenza:-Oh, ciao... che c’è? -Secondo te? Dai andiamo. In un attimo mi balena tutto alla mente, e ho un flash improvviso di un’espressione impaurita di donna che mi risveglia il volto con un sorriso di amaro divertimento. -Arrivo, scemo... arrivo. Mi vesto al volo e scendo in cucina, dove il solito bigliettino di mamma mi aspetta al posto suo: “Buongiorno tesoro, stasera torno tardi perché ho una riunione alle 6. Il caffè è pronto, fai il bravo a scuola. Baci, mamma”. Mi chiedo ancora dove tiene nascosta la copia di questi bigliettini, o se per caso li ricicla ogni giorno per quello successivo. Alla fine, basta solo cambiare il motivo per cui stasera torna tardi. Una volta ho provato a macchiarne uno con il caffè sperando di trovarlo il giorno dopo e poterla incastrare così, ma niente da fare... la mattina successiva ce n’era uno nuovo e splendente sul tavolo della cucina. Beh, almeno lei si preoccupa di lasciarmi una specie di motivazione per cui non c’è mai. Mio padre invece si limita a non esserci. Comunque, bevo il mio caffè senza curarmi di Simone che aspetta lì fuori. Esco solo dopo qualche minuto dicendo:-Macchina? Lui mi guarda infastidito:-No ma dico sei scemo? Io sono in vespa! Prendi la moto va... Simone, Simone... sapevo che l’avrebbe detto. Perché lui adora la sua vespa, e come dice sempre è anche grazie a quel piccolo insettino che deve il suo successo con le donne. Mah... -Dai, non ho voglia. Usiamo l’insetto... -Se continui a chiamare insetto il mio gioiellino non ci sali, bello.


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-Oh Simo che palle, muoviti!- sbuffo ignorandolo e salendo dietro di lui. Lui parte e inizia a sghignazzare:-Stamattina la becchiamo sicuro, lei arriva in bici... -Sì ma non fare l’arrapato come al solito, lascia fare a me... tranquillo. -E certo, così come al solito te la prendi tu. No, non esiste, stamattina me la tengo io. -Vedi di non fare il cretino, tu mi lasci all’angolo e io la raggiungo a piedi. Tu sei troppo aggressivo, non vedi che rischi di mandare tutto all’aria? Lascia fare a me. -Ti ho detto di no, stamattina vado io. Resto un attimo in silenzio cercando di non arrabbiarmi. Simone a volte è troppo testardo, e convincerlo è un’impresa. Ma so io come farlo mollare:-Come vuoi, Simo... allora l’insettino me lo lasci e te lo porto io a scuola, mentre tu vai con lei. Ok? Perfetto. -No, sogna. Non te la lascio, vado io diretto con la vespa e tu a piedi a scuola. -Oh ma sei forte, eh? Cioè io me la devo fare a piedi e tu arrivi tutto brillante con la vespa? No. Fammi scendere qua, dai, me ne vado. Con te non si può fare mai niente. -No no Marco dai, hai ragione... vai tu. Ok? Basta che all’intervallo la lasci a me e a Davide. Ok, ti va? -Sì, ok. Grazie eh. Lui non risponde, ma accelera. Dopo qualche minuto ci siamo, e Simone accosta per farmi scendere. Poi parte sparato senza salutare, ma non m’importa. Gli passerà. Inizio a camminare tranquillo e dopo neanche un minuto spunta lei sulla sua bicicletta azzurra con lo zaino in spalla. Non c’è neanche bisogno di parlare, appena mi vede un’espressione terrorizzata le appare sul viso e i suoi occhi si spalancano. Subito dopo però cerca di ricomporsi e di accelerare, ma io la blocco per il sellino. -Ehi, ehi... dove vuoi andare? Lei non mi risponde, gli occhi fissi a terra. -Gioia, dai, neanche mi saluti? Vieni qui, fatti salutare...- la tiro per un braccio e lei non cerca neanche di divincolarsi, spaventata. Mi avvicino al suo viso e la prendo per il collo. Un odore forte e dolciastro mi invade, forse è quello dello shampoo che usa. Ci guardiamo un attimo negli occhi e io la bacio con forza, facendole male. Cerco di risalire con


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le mani sotto la sua maglia, ma lei mi spinge e si dimena con tutte le sue forze. -Dai piccola non ti agitare, lo sai che non voglio farti niente di male... lo sai, no? Ma lei ha gli occhi pieni di lacrime e guarda lontano. Mi giro anch’io e vedo una macchina parcheggiata poco distante con un ragazzo che ci fissa dal finestrino e l’espressione infuriata. Cazzo, il fidanzato. Prima che possa dire qualcosa lui parte sgommando, e Gioia approfitta della mia distrazione per partire spedita. Non provo neanche a fermarla, perché tanto è già in trappola: tra mezz’ora la troverò nel banco davanti al mio. Sorrido, e mi incammino tranquillamente.


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Gioia

-Leo! Leo aspettami, fermati! Dove sei?- urlo a squarciagola nel cellulare. -Lasciami in pace.- risponde gelidamente, e riattacca. Sento qualcosa dentro me lacerarsi, come se un pugnale di ghiaccio mi stesse rompendo l’anima in mille pezzi. Mi trascino con la bici in un sentiero, e piango senza ritegno. Sul corpo sento ancora le sue mani, le labbra non sanno più di fragola ma hanno preso il suo sapore acido, quasi come se fosse limone. Un limone acerbo, però. Di nuovo questa sensazione di sporcizia, come se mi avessero versato sul corpo un secchio di fango, come se Marco avesse lasciato dei segni indelebili su di me. Mi alzo lentamente la maglietta e rabbrividisco nel vedere i segni rossi delle sue dita sui fianchi. Non riesco neanche a toccarmi, mi fa schifo. Vorrei vomitare ma non posso, devo andare a scuola. Sì, devo andare a scuola. Perché se inizio ad assentarmi è finita, poi gli insegnanti si insospettiscono e cominciano a parlare tra di loro, facendo congetture assurde e finendo per inventarsi cose inconcepibili. –Gioia cara, c’è qualcosa che non va in questo periodo? Forse in famiglia, non saprei, i tuoi genitori... è tutto a posto, cara?- ma chissà perché vanno subito a pensare alle famiglie, chissà perché il problema deve sempre essere una separazione o un amante. E ora mi chiedo cos’è peggio, un divorzio o... non riesco neanche a dirlo. Com’è che li chiamano, abusi? Stupri? Violenze sessuali? Non lo so, comunque lo si voglia chiamare io so che è orribile. E ricomincio a pedalare, sentendo ancora quelle mani su di me, quel respiro contro il mio... Dio, lascia che qualcuno mi aiuti. Caro diario, come va? Io sto benissimo. Anche oggi è stata una giornata fantastica a scuola, ho imparato tante cose nuove e ho preso ottimo in italiano.


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Mamma è molto contenta, e io più di lei. Adesso vado a giocare con Sandra in giardino, tornerò più tardi! Ciao! ... vorrei essere al posto di mia sorella. La invidio, sai? Lo ammetto senza problemi, è vero: la invidio molto. Invidio il suo diario rosa con i fiorellini che incorniciano la pagina, invidio la sua vita così candida e perfetta, fatta di giornate di sole e di divertimenti. Ma è stato così anche per me, alla sua età, queste cose le ho vissute anch’io, è vero... solo che adesso “il tempo delle mele” è finito. Perché dal paradiso dell’infanzia e dell’ingenuità sono stata catapultata in un inferno dove non so neanche più chi sono. E no, non possiamo chiamarla genericamente “pubertà”. No, perché io non sono un’adolescente qualunque. Sono diventata uno di quei casi da psicologi, e nessuno può saperlo. Forse non potrei neanche scriverlo qui, ma da qualche parte dovrò pur farlo altrimenti impazzisco. E poi, tu sei sempre nascosto al sicuro e nessuno potrà mai trovarti. Solo io e le mie lacrime, che ogni giorno riempiamo queste pagine candide di tratti rabbiosi e bagnati, dove i miei orrendi resoconti quotidiani macchiano il foglio e, per trovare un’amara similitudine tra il mio corpo e questo foglio, lo violentano con parole dure. Purtroppo lo sai, questa non è una storiella di cronaca nera, non è pura invenzione. È realtà. Stamattina è stato ancora peggio del solito, è arrivato sotto casa mia. Ti rendi conto, dico, TI RENDI CONTO?? Ma che stupida, urlare adesso non serve a niente... ma stamattina anche se avessi voluto non ci sarei mai riuscita, prendimi per scema ma è così. Sono salita sulla bici tranquillamente, e mentre svoltavo per il parco ho visto Marco a pochi passi da me. Ho avuto una paura folle, non riuscivo più a ragionare. Ho cercato di pedalare ma le sue mani si sono subito strette attorno al sellino della bici. Non voglio dirti quello che ha fatto, non mi va di rivivere quel bacio violento e quegli artigli che cercavano di insinuarsi sotto la maglia. Sono riuscita a reagire solo quando ho sentito quelle mani fredde sui fianchi e mi sono spostata spingendolo via. E in quel momento è successa la cosa peggiore, perché ho visto Leonardo. Sì, Leo, proprio il mio Leo, in macchina accostato vicino agli alberi. Non riuscivo neanche a parlare, te lo giuro, e lui è partito sparato ancora prima che potessi muovermi. Marco è rimasto fermo e io sono scappata via, ho chiamato Leo al cellulare piangendo ma non ha voluto ascoltarmi.


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E a scuola, diario, a scuola.... tu non puoi capire, e io non posso, non riesco a spiegarmi. Sono entrata in classe e ho fatto finta di niente, senza guardare Marco. Ho incontrato solo per un attimo lo sguardo di Simone che stava parlando con Davide, e mi ha salutato con quel sorriso idiota che mi fa venire voglia di ucciderlo. Davide non ha detto niente, non mi ha neanche guardata. All’intervallo Simone mi ha preso per mano e mi ha detto:-Ehi Giò, vieni con me? Io non gli ho risposto e ho sottratto la mano, ma lui mi ha sussurrato:Muoviti. Lo odio. Siamo andati in giardino e c’erano Marco, Davide e Thomas che fumavano. Mi hanno guardata e Thomas mi ha toccata mentre passavo, ridendo e facendo battute. –Ci vediamo dopo, eh... divertitevi...- e Simone rideva trascinandomi in palestra, nello spogliatoio. Mi ha spinta contro il muro e mi è venuto addosso con tutto il corpo, cercando di aprirmi i jeans. Io l’ho spinto più forte che potevo ma lui mi ha storto il polso e ha detto delle cose orribili... non vorrei scrivertelo ma devo, non posso fermarmi così. Non voglio dimenticare neanche un istante, neanche una parola. Mi ha detto: -Non provare a reagire, troia. Lo sai cosa succede al tuo ragazzo e alla tua famiglia se provi a parlare...- in quel momento si è aperta la porta e abbiamo sussultato entrambi. Davide è entrato con Thomas, e Thomas si è subito avventato su di me mentre Simone mi teneva ferma. Io ho chiuso gli occhi e l’ho sentito strusciarsi addosso a me e ansare, è stato tremendo. Avevo paura che Davide mi stesse filmando con quel maledetto cellulare come la volta scorsa, ma non riuscivo ad aprire gli occhi. E ho sentito la lingua di qualcuno leccarmi mentre mi stringevano forte i fianchi, ho cercato di urlare ma sono solo riuscita a tirare un calcio a vuoto. -Stronza! Se mi beccavi ti uccidevo! Ma guarda questa... devi stare ferma, hai capito?- Thomas. Thomas che è così bravo a scuola, così amato dagli insegnanti e dalle ragazze. “Oh quanto è figo, mamma mia... e poi hai visto, ha 9 in matematica, in storia, in scienze... è troppo figo Thomas, come vorrei starci...”. Prendetelo. Prendetelo, prendetelo, prendetelo. Levatemeli di dosso, tutti. Perché questi non sono i gran fighi che credete voi, questi sono dei mostri. E io non voglio essere la protagonista di questo film dell’orrore. Mai più.


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Lo sai, una cosa ancora peggiore c’è. Che in tutto questo schifo che mi sta succedendo, mi sono resa conto di quanto il mio nome sia inappropriato a me. Perché provo tutto, tranne che Gioia. Me ne sono accorta oggi, mentre Thomas e Simone si scambiavano i posti e chissà perché Davide non faceva nulla ma restava lì seduto a guardare... perché Thomas a un certo punto mi ha afferrata e ha sghignazzato dicendo:-Ah, che Gioia...- e si sono messi a ridere mentre i miei occhi si riempivano di lacrime. Già, che Gioia. E guarda un po’, ho trovato un nuovo modo di firmarmi. Perché uno più adatto non c’è. *(Senza) Gioia* Che dici, ti piace? Lo so, è macabro ma scusami se anche la mia vita lo è ormai. Anzi, forse è meglio senza asterischi. Perché tanto quei due asterischi non ci sono più a coprirmi. Sono nuda, e loro lo sanno. E quanto vorrei fargliela pagare. (Senza) Gioia -Gioia! Muoviti! Ma da quanto tempo sei là dentro? -Ho finito. Mi guardo allo specchio e mi avvolgo subito nell’accappatoio. Per qualche strano motivo non riesco neanche più a guardarmi senza vestiti. Esco dal bagno e mamma sbuffa:-Finalmente! Cos’è questa nuova mania, non l’avevi fatta già prima la doccia? -Avevo lo shampoo nei capelli. -Tesoro, quante volte te l’ho detto di risciacquarli bene? Con i capelli lunghi è così, bisogna veramente avere il doppio della cura... non sarebbe il caso di tagliarli un po’? -No ma’, mi piacciono così... lascia stare. -Come vuoi.- entra in bagno e richiude la porta dietro di lei, mentre io torno in camera e mi vesto al rallentatore. Poi mi metto ad asciugare i capelli davanti alla tv, guardando quelle figurine agitarsi nello schermo senza udire le loro voci, coperte dal rumore del phon. Penso. Penso a tutto quello che è successo in un modo freddo, distaccato, razionale.


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Perché penso come se le cose fossero accadute a un’altra e non a me, forse perché una piccola parte di me ancora non ci crede davvero. E vorrei che non ci credesse neanche il resto del corpo e della mente. Leonardo... Leonardo ha visto tutto, tutto. Possibile che sia partito così, che non abbia voluto fermarsi? Perché non si è fermato? Io al posto suo sarei corsa fuori dalla macchina. Non ha visto, non si è reso conto che non era una cosa voluta? Non mi ha visto divincolarmi? Perché non è sceso da quella maledetta macchina a salvarmi, perché? I capelli sono asciutti, al contrario dei miei interrogativi che fanno acqua da tutte le parti. Cena. Stasera Sofia è più allegra del solito, è stata a casa di Elena, una delle sue mille amichette del cuore. È seduta davanti a me e mi sta raccontando tutto nei minimi dettagli: hanno giocato alle Barbie, a prendere il the con gli orsacchiotti e alle principesse. Poi erano stanche e allora si sono messe a guardare “La carica dei 101” e poi è arrivato suo fratello e poi e poi e poi... Mi racconta tutto questo con gli occhioni che brillano, e non posso fare a meno di sorridere intenerita nell’ascoltarla. È così bello avere 7 anni. -Iaia, mi stai ascoltando? Ma tu non mi ascolti più, dai!- Sofia assume un’espressione contrariata, e io ritorno in me. -Come no, certo che ti ascoltavo!- cerco di sembrare seria e sincera... speriamo solo che non mi chieda il riassunto. -E cosa stavo dicendo, dai?- ecco, lo sapevo. -Di... quando giocavate... i 101... insomma, del cartone animato! -No invece!- strilla tutta felice. Adora vedermi sbagliare, e io rido facendole la linguaccia. È incredibile come riesca a farmi dimenticare tutti i miei problemi... anche i peggiori. –Ti stavo dicendo che poi è arrivato Davide, il fratello, e...- non l’ascolto più. Improvvisamente mi si gela il sangue nelle vene. Davide. Davide. Davide. Questo nome è come un pugno nello stomaco. Mi balena in mente il suo volto, e subito dopo come una catena d’acciaio quello di Marco, di Simone e di Thomas. Ogni volta che sento


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pronunciare uno di questi nomi sento lo stomaco contrarsi. E la scena dello spogliatoio ritorna davanti agli occhi. Maledetti. Maledetti. Maledetti. -Dai Gioia però! Perché non mi ascolti mai? Uffa...- Sofia mi lancia uno sguardo arrabbiato e addenta un pezzo di pane con cattiveria, sempre fissandomi. -Scusa, stavo pensando...- ma lei non riprende a parlare, ormai è arrabbiata. Povera piccola, che ne sa lei? Guardo i miei per vedere se si sono accorti di qualcosa, non vorrei che mi chiedessero cos’ho. Anche se sto facendo di tutto per non tremare al pensiero di stamattina, cercando di pensare ad altro. Mamma e papà non mi hanno assolutamente notata, per fortuna, tutti presi dal telegiornale. Osservo anch’io la conduttrice parlare seriamente di un omicidio di una ragazza per mano di un pazzo, fanno vedere la sua foto sorridente e poi quella dello stronzo che ha messo fine alla sua vita. -Dopo averla condotta nella sua casa lungo il fiume, l’ha violentata e infine l’ha uccisa con più colpi di pistola. Il cadavere è stato ritrovato nel...- distolgo lo sguardo e respiro profondamente, cercando di stare calma. Controllo Sofia, ma lei fortunatamente non sta ascoltando e gioca con il pane. Non riesco nemmeno a dirle di smetterla, ho solo fissa davanti agli occhi la mia immagine in una foto e quella di quei quattro bastardi. Come sarebbe? Di chi ritroverebbero il cadavere? Di Leonardo? I miei occhi si posano spaventati su Sofia. No, non posso pensarci. Papà scuote la testa, disgustato:-Sono proprio degli animali... è impressionante. Per un attimo ho avuto paura di aver parlato ad alta voce, e infatti chiedo subito:-Chi? -Come, non hai sentito? Questi pazzi che uccidono povere ragazze innocenti... -Ah, sì. Sì, lo so. Anche mamma ha lo stesso sguardo pieno di tristezza e sdegno, e mormora:-Povera ragazza, che ha dovuto passare... lo stupro e poi la morte... è orribile. -Già. Poverina.- mormoro, abbassando gli occhi. Poverina davvero. E io ne so qualcosa.


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Davide

-Dopo averla condotta nella sua casa lungo il fiume, l’ha violentata e infine l’ha uccisa con più colpi di pistola. Il cadavere è stato ritrovato nel...- distolgo lo sguardo e respiro profondamente, cercando di stare calmo. I miei genitori ascoltano e guardano le immagini alla televisione senza parlare, nauseati. -Mamma mia che brutta gente che c’è al mondo... io non lo so, non riesco a capire com’è possibile... ma dico io, dove sono le famiglie di questi pazzi? Dove sono? -Elisa, non ti agitare.- dice mio padre, più calmo –purtroppo è gente così, a volte non è la famiglia ad avere la colpa... sono loro che hanno problemi, se stuprano e uccidono. -Sì ma lo vedi, Giorgio? È un ragazzo, lui! Io continuo a mangiare meccanicamente, la fronte imperlata di sudore. Il volto di Gioia è stampato nella mia mente, e queste giornate nello spogliatoio con lei e gli altri mi ricorrono nella testa come brevi film dell’orrore. Non posso credere di aver partecipato a una cosa del genere, davvero non posso crederci. -Davide, che succede? Stai bene?- mamma mi guarda preoccupata. –Oh tesoro, adesso spegniamo. Veramente sono cose che fanno star male, hai ragione... è bruttissimo vederlo, ma ci fanno anche capire, del resto... -Ma no, mamma, tranquilla, sto bene. -Mangia, Davide, mangia.- papà mi sprona sorridendo –altrimenti tutti quei muscoli come fanno a stare su? Diventerai di ricotta...- mi prende in giro. -Macché, con tutta la palestra che faccio!- cerco di scherzare anche io, ma non posso fare a meno di chiedermi se mio padre riuscirebbe a sorridermi ancora e a essere fiero di me se sapesse quello a cui ho assistito stamattina. E soprattutto quello che ho fatto nei giorni scorsi a una ragazza innocente.


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Oggi non me la sono sentita, non ce la facevo. La guardavo e non riuscivo neanche a parlare, volevo solo che la finissero tutti. Oggi forse per la prima volta mi sono reso conto in che cosa sono entrato. È iniziato tutto per scherzo... Marco a scuola continuava a prendere in giro Gioia, giocando con i suoi capelli e cercando di attirare la sua attenzione. Mi ricordo quando il pomeriggio parlava di lei con me e gli altri, e noi scherzando gli dicevamo:-Senti bello, se ti piace provaci e basta, ok? Smettila di stuzzicarla così. -Ma che siete fuori? Non è che mi piace, me la farei e basta...- aveva detto lui, con quel sorriso sprezzante sul volto. E noi che ridevamo, facendo gli spacconi. Marco, Marco... uno dei pilastri d’oro della scuola per fin troppe ragazzine. Ma un po’ lo siamo tutti e quattro, va detto. Io, Marco, Thomas e Simone. Che quartetto, ragazzi! Ne abbiamo combinate di tutti i colori, ma ce l’hanno sempre fatta passare liscia o per la bella faccia o per i soldi. Solo che adesso non ci riconosco più. Dalle piccole bravate di una volta siamo passati a cose inconcepibili, e di cui mi rendo conto solo ora. Com’è possibile che da qualche scherzo innocente per attirare l’attenzione di una compagna di classe Marco ci abbia coinvolti in un gioco tanto crudele? La prima volta che l’ha portata di forza negli spogliatoi è stato orribile, me lo ricordo come se fosse ieri. Thomas ha minacciato di bruciarla con la sigaretta se urlava, e lei è stata in silenzio a piangere mentre tutti a turno la toccavano. Io non riuscivo neanche a parlare, mi ricordo che la fissavo con gli occhi spalancati e non facevo niente. A un certo punto Marco mi ha piazzato in mano il cellulare e mi ha detto di fare un video. Io ho preso il cellulare e ho filmato, senza credere a quello che stavo facendo, senza ragionare, senza oppormi. Come ho potuto? Quando il “gioco” è finito però ci ho pensato con distacco, e ho iniziato anche io a ragionare come gli altri. L’ho visto come un divertimento, come un’altra delle nostre piccole stupide avventure. E la volta dopo sono stato il primo ad andarle addosso, eccitato da quella bambolina umana e spaventata, aspirandone l’odore e accarezzandola tutta. Ma Thomas mi aveva scostato bruscamente, dicendo:-Ma sei scemo che fai pure il galante?Spostati, ti faccio vedere io come si fa...- e le aveva infilato le dita di forza nei jeans. Io ho sussultato guardandola chiudere gli occhi e mordersi le labbra per non gridare, terrorizzata dalla minaccia a vuoto della sigaretta. Sapevo che Thomas non


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l’avrebbe mai fatto. Poi però Gioia ha gridato e gli ha tirato un calcio tra le gambe, e Thomas le si è avventato contro con tutte le sue forze premendola contro il muro e dicendo:-Brutta stronza adesso vedi che ti combino, ti ho detto di non reagire! Dammi la sigaretta, muoviti, che questa stronza adesso se la vede con me! Io l’ho preso per un braccio, capendo solo in quel momento che l’avrebbe fatto davvero. Spaventato, l’ho tirato dicendo:-Dai adesso basta, oh! Spostati, lasciala stare! E lui mi ha guardato in un modo che non dimenticherò mai, dicendo:Senti ma tu da che parte stai, eh coglione? Sei un frocio, non sei un uomo! E il mio pugno sul suo viso. Le grida di Gioia, le mani di Marco che mi spostano da Thomas. Simone che ci guarda scandalizzato, incapace di fare qualcosa. Mi ricordo tutto così bene, troppo bene... Dopo qualche giorno io e Thomas siamo tornati a parlare e a comportarci come prima, anche se da quella volta la sua paura di farmi arrabbiare e il suo rispetto sono decisamente aumentati. Solo che anche la mia smania di farmi vedere “uomo” era salita di troppo, e nelle volte successive facevo finta di divertirmi e di ridere mentre gli altri facevano di tutto a Gioia. Qualche volta mi sono avvicinato anche io a lei, ma non ho mai avuto il coraggio di arrivare ai livelli degli altri. La sentivo tremare contro di me, e mi faceva immensamente pena. Oggi più che mai. Mi sono reso conto in un attimo di tutto quello che stiamo facendo, di come per una cazzata del genere al telegiornale potremmo finirci noi. Ma com’è possibile, come abbiamo potuto arrivare a fare queste cose? Guardo mia sorella Elena e mi chiedo se qualcuno un giorno abusasse di lei cosa sarei capace di fare. So per certo che vorrei ammazzare quegli stronzi, uno per uno, per aver rovinato così la mia sorellina. E Gioia, allora? Non sono anch’io uno di quegli stronzi? Ho paura di me stesso. Dopo cena chiamo Marco sul cellulare, devo parlargli. -Pronto, Da, che c’è? -Marco, dobbiamo parlare... davvero.- sussurro, agitato. -Che succede?- risponde lui, totalmente indifferente. -Dobbiamo smetterla immediatamente con questa storia, stiamo esagerando... -Di che parli? Della bambolina?


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-Sì. -Ah-ah, adesso capisco perché oggi sei rimasto fermo immobile... senso di colpa? -No, Marco, non è questo... anzi, sì, è anche questo. Ma non ti rendi conto di quello che stiamo facendo? Non capisci? -Dai Davi, guarda che è solo un gioco, uno scherzo... -No, non lo è. Non più. -Ok, ok, magari smetteremo con le minacce, che vuoi che ti dica... -Ma non basta smetterla di minacciare! Dobbiamo proprio farla finita! Hai idea in che casini si finisce per roba del genere, eh? Lo sai, eh? -Senti bello stai calmo, lascia fare a me. -No. Mi sono stancato, non posso affidarmi a te. -Senti adesso non possiamo smettere di colpo. Si sentirà improvvisamente sicura e andrà a spifferare tutto, e in quel caso sarebbero davvero cazzi per tutti quanti. Capito? -Marco, ma... -Vuoi finire nei guai? -No.- sospiro. -E allora smettila di agitarti. Ti ripeto, lascia fare a me. -Che hai intenzione di fare? -Magari andarci un po’ più pian... -NO! Ti ho detto che dobbiamo finirla definitivamente! -...la prossima volta che urli sei tu a essere finito definitivamente. Senti bello, lo so che sei agitato, è normale... ma non preoccuparti, la finiremo presto.- dice con voce annoiata, e lo sento accendersi una sigaretta. Non gliene frega proprio niente. -Lo spero. -Non preoccuparti, bello. A domani. Riattacco senza salutare. Maledetto Marco. Lui e i suoi “bello, senti bello, tranquillo bello” mi stanno iniziando a stancare. Anzi, tutta questa faccenda mi sta stancando. Bussano alla porta e spunta la testolina di Elena. -Ele, dimmi. Che c’è? -Giochiamo un po’?- mi dice con il suo sorriso sdentato. Non posso fare a meno di ricambiare il sorriso. Sarà ridicolo, ma adoro mia sorella. Ha solo 7 anni ed è dolcissima, non rompe mai le scatole. L’unica cosa che desidera è giocare, giocare, giocare e giocare. E finché la fai felice, ti è devota.


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-Se voglio giocare? E me lo chiedi? Vieni qua che se ti prendo...- mi avvicino a lei ridendo e cercando di afferrarla. Lei strilla tutta contenta e inizia a scappare per la casa, con me che le corro dietro ridendo cercando di prenderla. Nessuno le farà mai del male, la proteggerò io.


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Gioia

-Pronto? -Leonardo...- sussurro con la voce che mi trema. -Cosa vuoi? -Per favore, non riattaccare.- lo supplico, accasciandomi sul letto. -No.- sospira lui dall’altra parte. -Dove sei? -Gioia... dimmi cosa vuoi. Dove sono non deve più interessarti, te l’ho detto. -Se ti amo non può non interessarm...-inizio a dire, ma lui mi interrompe bruscamente. -TU NON MI AMI, HAI CAPITO? Non dirlo mai più! Tu non sai neanche cosa voglia dire! -Ti prego, calmati... non è vero che non so cosa vuol dire, io lo so... -Non credo proprio. -Perché?- maledetta voce che trema. -Perché non puoi amarmi se baci appassionatamente un altro, Gioia. E non dire che non è vero, lo sai anche tu... vi ho visti. -Ma cosa hai visto, COSA? Non ti sei reso conto che non volevo? Non hai visto che mi ha costretta? Eh?- cerco di abbassare la voce, ma è inutile. Non vorrei che i miei mi sentissero, ma allo stesso tempo non posso smettere di urlare. Com’è possibile che non capisca? Vorrei dirgli tutta la verità, ma a questo punto non mi crederebbe neanche. -Non raccontarmi storie. Tu all’inizio eri tutta presa, poi ti sei resa conto che c’era qualcuno e appena mi hai visto hai iniziato a dimenarti. Non cercare di fregarmi, ho visto tutto. E ora davvero non abbiamo più niente da dirci. Addio. -Ma...- ha riattaccato ancora prima che potessi parlare. Maledette lacrime. Diario, diario... caro? Mah. Non voglio essere troppo Sofia in questo momento. Non voglio essere nemmeno me stessa in questo momento.


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Ho parlato con Leo al telefono, ero determinata a spiegargli tutto, ma non mi ha neanche lasciata parlare. Ha tratto le sue stupide conclusioni dettate parola per parola da una gelosia e da una rabbia feroce, e non ha voluto ascoltarmi. Perché, Leo, perché? Quando ci siamo messi insieme ci eravamo promessi di ascoltarci sempre, di fidarci l’uno dell’altra. Ma all’inizio è tutto così bello, così trasparente, così pieno di sogni e di speranze. Poi si va avanti e a volte anche i piccoli gesti perdono sapore, e ti abitui a trovarlo sotto casa la mattina per portarti a scuola, e ti abitui alle parole dolci, ai baci, a tutto. E improvvisamente non è più un regalo, non è più un’emozione, è routine. E solo quando viene a mancare tutto ti rendi conto di quanto era importante per te. Prima al telefono avrei potuto dirgli tutto, sì, tutto davvero. Ero a casa, sul letto, abbracciata a quell’immenso cuscino a forma di cuore che mi hai regalato qualche mese fa per il mio compleanno. Quando ero così dannatamente felice, quando quest’incubo ancora non esisteva. Perché Marco era solo uno dei miei compagni di classe, insieme a Davide e Simone. Certo, erano tre scemi, e Thomas non lo conoscevo ancora. Poi hanno iniziato a infastidirmi, Marco per primo. E io non so dove ho sbagliato, non ho mai voluto saperne di lui, nonostante piacesse a tutte a me non aveva mai convinto. È stato forse questo a spingerlo ad accanirsi in quel modo con me? E le telefonate a casa, i messaggi, i bigliettini... cose sopportabili, in confronto a quello che sta succedendo ora. Anche se già allora sembrava un inferno: dover tenere tutto nascosto a Leo per paura che qualcuno di quei bastardi gli alzasse le mani, far credere a mamma e papà che si trattasse di un amico, corrompere Sofia per non farle scappare nemmeno una parola con Leo... e piangevo, sì, me ne ricordo, e da qualche parte le lacrime sono ancora imprigionate in queste vecchie pagine... ma se solo potessi tornare indietro, se solo avessi saputo che saremmo arrivati a questo punto, avrei preferito vivere per sempre con quell’angoscia nel cuore. Perché un bigliettino si può strappare, bruciare, eliminare per sempre. Ma una persona no, un corpo fisicamente più grande e forte del tuo non si può contrastare. E le minacce sempre più pesanti, i modi sempre più pesanti, le mani come pietre ancora più pesanti che affossano il mio corpo, la paura che sembra schiacciarmi completamente e impedirmi qualsiasi azione. Che devo fare? Te lo giuro, stasera per un attimo non ho avuto paura, e la tentazione di parlare con Leonardo, di dirgli tutto, c’è stata.


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Chi poteva saperlo, chi poteva sentirmi? Sarebbe stato tutto così facile... e poi magari Leo avrebbe sistemato tutto, “non preoccuparti amore ci penso io, tra qualche giorno sarà tutto finito... ci sono io al tuo fianco, ci sono io a proteggerti.” Oh diario mio, tu solo sai quanto, quanto, quanto, quanto desidererei sentirmi dire queste parole. Eppure lui non ha voluto ascoltarmi, tutto l’amore e la comprensione di un tempo sembrano essere svaniti. Ormai ha innalzato un muro tra di noi, e qualunque mia parola sarà inutile... lo so. Peccato, mi era sembrato di vedere una piccola luce in questo tunnel troppo buio per continuare a sperare. E ora, ora si è spenta anche l’ultima candela. (Senza) Gioia


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Simone

-Zeroni!- mi sento chiamare mentre salgo le scale. -Sì? Oh, buongiorno professore!- sfodero il mio miglior sorriso e mi avvicino alla seria figura in giacca e camicia perfettamente stirata. Appena mi avvicino il prof. Involti mi sorride, e appoggia bonariamente una mano sulla mia spalla. -Allora, Zeroni, come andiamo? -Bene professore, e lei? -Eh, si va avanti, Zeroni, si va avanti... Lo osservo continuando a sorridere e cerco di trovare una battuta brillante per colpirlo, ma guardando il suo viso stanco e gli occhi assonnati non mi viene niente di meglio che consigliargli una bella dormita. -Allora, oggi cosa spiega?- improvviso. -Cosa? Ah, oggi. Penso che andremo avanti col programma, ma potrei interrogare l’ultima mezz’ora due persone.- panico. Tento di mascherare il tutto mantenendo quel sorriso stampato sul volto. -Tu sei pronto, vero? -Io? Ma certo.- cazzo. -Come sempre, Zeroni, come sempre.- ride, dandomi delle pacche sulle spalle –sei un bravo ragazzo, davvero. Non preoccuparti, oggi penso che ti risparmierò. Una risata soffocata mi esce a stento, e dico:-Beh, come preferisce... insomma... -Tranquillo, Zeroni! Hai la media dell’8, no? E allora! Che senso ha confermare i migliori! Piuttosto prenderò qualcun altro... ora vai in classe, su, è tardi! -Va bene professore, a dopo. Buona lezione.- aggiungo con un sorriso ipocrita. Appena si allontana di pochi passi esulto silenziosamente chiudendo i pugni e pensando “Grandeeee!”, ma dopo neanche un minuto mi raggiunge quella rompiscatole della Terzo. -Oh, Zero, cosa t’ha detto l’Involtino?- che palle, non s’è persa neanche un minuto!


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-A me?- faccio l’indifferente. -Eh.- sorrido mentre lei si spazientisce. -Ma niente, le solite cose. Perché, cosa ti interessa? -Ah pensavo ti avesse detto se interroga o no... scusa. -No no, tranquilla, non ha detto niente.- affermo con la faccia più sincera del mondo. -Ok, ciao.- mi dice lei abbattuta, e torna in classe. ‘Fanculo. -Simo! Come va? -Thomas, ciao! Bene, bene...- dico, guardando attentamente la biondina che ha di fianco. Carina, molto truccata, corpo sottile e piccolo. Complimenti Tommy, bella scelta. Ci scambiamo uno sguardo dove gli faccio intendere la mia approvazione, e lui annuisce soddisfatto. Poi mi dice:-Senti io all’intervallo non vado in giardino, resto in bagno normale... ok? -Ah, non vieni? -No, no... ma neanche Marco dovrebbe, ha da fare. -Come? -Eh una ragazza di quarta B... non ho capito bene... -Ah, ok. Va beh, ci parlo io appena arriva e mi faccio dire. -Ok, ci vediamo dopo. Ciao. -Ciao... ciao.- saluto anche la biondina che mi risponde con un sorriso appena accennato, e se ne vanno tutti e due. Thomas... che uomo fortunato. Anche se io effettivamente non posso lamentarmi più di tanto, ultimamente di ragazze carine intorno ce ne sono parecchie. E infatti una di queste sta salendo insieme a Marco per venire in classe, e io li blocco al volo. -Oh, stamattina in anticipo... bravi, bravi! -Ciao Simo!- mi sorride Lara, tutta contenta. Mi avvicino e la bacio su una guancia:-Ciao stupenda. Tutto ok? -Sì! Scusate eh, io vado in classe... ciao! -Ciao ciao...- la saluta Marco sorridendo sornione. -Mamma mia...- dico, guardandola ancheggiare fino alla classe. -Sì è uno spettacolo, vero? -Infatti, quindi lascia me come spettatore e levati. -Oh oh bello, calma! Sarà lei a scegliere, mica puoi pretendere che me la lascio sfuggire per causa tua! -Ma è chiaro che vuole me tra i due...


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-Io non ne sarei così sicuro...- risponde Marco scherzando. -Senti tu continua a gioire con la tua amichetta, lascia a me le cose serie! -Certo che mi fate ridere!- sbotta –mi dite tutti la stessa cosa, come se con Gioia ci andassi solo io! A me sembra che vi divertite un po’ tutti, eh... non l’ho mai trattata come una proprietà privata. -Sì ma è partita da te la cosa, Marco, dai... -Senti bello, se vuoi uscire dal giro parla chiaro, perché anche Davide ieri ha dato forfait. -Cosa? Scherzi? -No, mi ha chiamato e dice che dovremmo finirla... insomma, senso di colpa e tutto... -Ma dai? Cazzo allora Thomas aveva ragione a dire che poi tanto uomo non è! Marco mi guarda seriamente:-Diciamo solo che ha paura, dopo il cazzotto che ha tirato a Tommy non mi sento di dire nient’altro. -Già... che botta. -Sì, e stai attento a parlare prima che te ne molli uno anche a te. -Ah, certo!- faccio lo spaccone, ma in realtà il solo pensiero di trovarmi a fare a botte con Davide mi spaventa. Non lo ammetterei mai con gli altri, ma so già chi vincerebbe. -Simo, dai... lascia perdere. Alla fine gode quanto noi quando se la trova davanti, parliamoci chiaro. Solo secondo me dovremmo andarci un po’ più piano per evitare casini... no? -Sei fuori? Al massimo il contrario. Io a lei vorrei far conoscere anche il resto...- dico, facendo un gesto eloquente con la mano. -Cosa? Tu sei pazzo! -No, io sono uomo.- dico, andandomene. -Va beh, allora oggi fai l’uomo che io ho da fare.- mi blocco. -Cosa? -Eh, la Croft mi ha dato appuntamento in bagno! Hai presente quella con cui se la fila Tommy? È una sua amichetta... e quindi facciamo una specie di appuntamentino a quattro! -Nel bagno? Sai che chic...- dico per stuzzicarlo, ma in realtà sono geloso. -Perché, il tuo posto è più romantico forse? Dai invidioso, oggi è tutta vostra...- mi sorpassa ridendo, sapendo di aver colto nel segno. Bastardo.


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All’intervallo prendo Davide per un braccio e dico:-Oh, oggi ci siamo solo noi. -Eh?- risponde lui con quello sguardo perso. -Davide cazzo, non dormire!- a volte mi fa innervosire per niente. Sinceramente, è dall’anno scorso che mi chiedo come ha fatto quella strafiga dell’Alessia a preferire lui a me. Ok, ha gli occhi azzurri e i capelli scuri e tutti quei muscoli eccetera eccetera, ma capirai... quella di gusti proprio zero. Però alla fine per fortuna l’ha lasciato, si deve essere resa conto del grande abbaglio che ha preso... anche se ancora non s’è fatta viva con me. -Ti ho detto che oggi Tommy e Marco non ci sono, ok? Quindi andiamo solo io e te.- ripeto più lentamente, per fargli arrivare il messaggio. -Ah, non ci sono?- improvvisamente la sua attenzione si desta –Simo dai allora cosa andiamo a fare? Lasciamo stare per oggi, dai!- mi incita, già più allegro. Lo guardo attentamente e mi ricordo le parole di Marco di stamattina. Sì, è chiaro che si sente in colpa, il ragazzo modello. -Da ma sei scemo? Cioè oggi è ancora meglio, non capisci? Solo in due si fa di più... -No Simo io... non me la sento, davvero.- ecco, lo sapevo. D’impeto lo afferro per una spalla e dico:-Senti se hai intenzione di mollare parla chiaro, perché guarda che non è uscendo adesso che ti levi fuori dai guai. Sei tu quello che ha filmato tutto- continuo abbassando la voce –e nei casini ci sei quanto noi, capito? Quindi non credere che lasciare il gioco a metà... -Il gioco è bello quando dura poco, Simo! Non possiamo esagerare, Cristo! -Oh, calmati! -No, calmati lo dici a qualcun altro! Basta, Simo, basta! Non capisci che cosa stiamo facendo? Eh?- mi guarda con gli occhi spalancati. -Davide non ti preoccupare, è tutto ok... ok, amico? Calmati... dai. -No, Simo, tu non capisci, non ti riesci a rendere conto. Questo è qualcosa di più grande di noi, di orribile... è... è troppo.- lo fisso sconvolto. Ma che gli è preso? -Davide... che dici, insomma... che ti prende? -Niente, Simo, lascia stare.- mi guarda sconsolato. -Senti adesso ti faccio riprendere io. Vieni con me, muoviti.- lo tiro per un braccio verso il giardino diretto allo spogliatoio della palestra, e prima di aprire la porta lo prendo per le spalle:-Davide ascolta, adesso


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entra e vedi di farti un bel giro con lei, hai capito? Divertiti, cazzo! Non stai facendo niente di male, sei solo con una ragazza carina a giocare un po’! Cosa c’è di male? -Ma sei impazzito? Tu questo lo chiami giocare? Cazzo Simo, a momenti la stupriamo davvero! -Ma che dici, non siamo mai arrivati a questo punto. Anche se...- mi blocco prima di pentirmene. -Cosa?- gli occhi di Davide mi trapassano, sospettosi. -Niente, niente.- per adesso preferisco non anticipargli nulla, non si sa mai. -Che vuoi fare? -Ma niente, rilassati! Dai, vai solo tu oggi... ok? -No, io non vado. Alzo gli occhi al cielo e poi lo spingo via, aprendo la porta. -E allora resta lì e guarda come si fa, perdente.


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Gioia

Cammino come in trance fino agli spogliatoi. Da quando Thomas mi ha avvertita di farmi trovare già lì ogni giorno ho paura che un qualsiasi tipo di opposizione da parte mia possa causare chissà cosa. Mi sento fuori di me, come se quella che ogni giorno cammina con gli occhi sbarrati dalla paura fino agli spogliatoi sia un’altra, e non io. Come se osservassi tutto dall’esterno. Ma perché nessuno si accorge di niente? Quando passo per entrare negli spogliatoi nessuno mi vede? Io ho troppa paura di alzare gli occhi, troppa paura di incrociare anche solo per un attimo lo sguardo di qualcuno. E se poi se ne accorgono? Se poi davvero qualcuno scopre tutto e loro iniziano a picchiarmi, convinti che abbia parlato? O peggio... se fanno qualcosa alla mia famiglia o a Leonardo? Ho paura, ho paura e ho paura. E mi sento strana, diversa, pazza. Non riesco a smettere di sussultare quando sento qualche rumore, ho paura degli sguardi della gente, di parlare, di reagire. E non riesco a impedirmi di lavarmi sempre, in ogni minima occasione: appena mamma esce a fare la spesa corro sotto la doccia, e apro il getto al massimo. Forse credo di lavare via le tracce che lasciano su di me? Forse penso che basti l’acqua per cancellare le loro azioni? Non lo so, ma in qualche modo mi calmo, anche se solo per pochi minuti. Ieri è stato peggio del solito, c’erano soltanto Simone e Davide. Davide era strano, non parlava, non aveva il cellulare... niente. Restava con gli occhi bassi appoggiato al muro, senza fare nulla. Sarà assurdo, ma questa cosa mi spaventa ancora di più. Che vuole fare, perché sta fermo? Vuole farmi di peggio? Il solo pensiero mi fa rabbrividire, e sento crescere dentro di me questa voglia di rifugiarmi, di andare via. E mi sembra ancora di sentire Simone accanirsi su di me, ridere, sforzarsi per attirare anche Davide in quel gioco mostruoso. Ma lui non ha voluto aggiungersi, non ci guardava neanche, e io avrei voluto scappare ma Simone mi teneva per i polsi facendomi male, troppo male.


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Mentre penso a tutto questo entrano Marco e Simone negli spogliatoi... perché gli altri due non ci sono, che succede? È orrendo, mi sono addirittura abituata a vederli arrivare tutti e quattro. E vederne solo due come ieri mi spaventa, perché a giudicare dagli sguardi non sarà come ieri, non ce ne sarà uno fermo e l’altro su di me. Simone mi saluta ghignando:-Ciao, Gioiuccia... come va? Non gli rispondo. Stronzo. Ti odio, ti odio, ti odio! E non ho nemmeno il coraggio di urlartelo, non riesco neanche a trovare la forza di scappare. Ho troppa paura di essere picchiata. Intanto Marco mi accarezza i capelli, allungando le ciocche fino al seno e premendoci le mani forte. Mi fa male, ma appena mi scosto lui mi tira i capelli. Il dolore è fortissimo, e mi mordo le labbra per non urlare. -Che c’è piccolina, ti faccio male? Zitta, Gioia, zitta. Non rispondere. -Ehi, parlo con te... ti faccio male?- dice, tirandoli ancora di più e costringendomi ad abbassare la testa e inginocchiarmi. -S...smettila!- riesco a bisbigliare. -Uh-uh, la principessina ha ritrovato la voce...- sento Simone ridere, mentre guardo le scarpe di Gucci di Marco. Mi viene da ridere: vuole fare il signore, ma su quelle scarpe dovrei solo sputarci. Per un attimo ho la tentazione di farlo, ma poi penso alle conseguenze e sto ferma. Marco mi lascia i capelli e io mi rialzo, guardandolo. Lui si apre i bottoni dei jeans e io inizio a tremare, pregando di aver capito male. Ho il cuore a mille, e non riesco a muovermi. Mentre li abbassa con forza e con gli occhi fissi su di me, faccio in tempo a vedere Simone prendere il cellulare quando improvvisamente Marco mi spinge la testa tra le gambe con un gesto deciso. Vorrei oppormi ma sento la pressione di quella mano sulla testa, e non ho il coraggio di fare niente. In silenzio mi abbasso e chiudo gli occhi mentre il suo odore mi penetra nelle narici. La mia bocca si apre quasi automaticamente, spaventata dall’idea che possa tirarmi nuovamente i capelli. Riapro gli occhi, ma non ho il coraggio di alzarli. Li richiudo. ...e ricordo di quando ero bambina, e d’estate mamma ci portava ogni domenica alla gelateria di Roberto, che faceva i gelati più buoni del mondo. E io e Sofia eravamo così felici, mangiando i nostri gelati.


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-Lecca, lecca, che altrimenti si scioglie!- mi diceva mamma ridendo, perché io aspettavo sempre un po’ prima di iniziare a mangiare il mio gelato. Lo guardavo in adorazione, finché non iniziava a sciogliersi lentamente. Solo lì mi decidevo, e con la lingua raccoglievo le gocce di gelato sciolto ai lati del cono chiudendo gli occhi e assaporandolo, felice. Non so quanto riuscirai a leggere in mezzo a questo fiume di lacrime. È la millesima volta che torno dal bagno, ho lavato ancora i denti, fatto un’altra doccia, rilavato i denti... ancora, ancora e ancora. Eppure, questo sapore non sembra togliersi più, o forse è soltanto la mia immaginazione. Sono tornata a casa piangendo, non riuscivo a smettere. Lungo la strada una signora anziana che teneva per mano un bambino mi ha guardata, e per un attimo ho avuto la folle idea di raccontare tutto a quella sconosciuta. Sono completamente pazza ormai, lo so. Diario, io... io non pensavo arrivassero a questo punto. Non so cosa sia successo, non so cosa mi ha impedito di oppormi, di urlare, di scappare. Anzi, forse lo so. È questa maledetta paura, paura di essere bruciata con una sigaretta, di tornare a casa con dei segni visibili sul volto, di essere picchiata... di far scoprire tutto ai miei. Perché quello che mi fanno mi lacera dentro, ma fuori non si vede. E allora sopporto in silenzio, per paura e per amore. Sì, anche per amore. Per amore della mia famiglia, di mamma, di papà, di Sofia... per amore di Leo che di amore per me non ne prova più. Non posso permettere che quei bastardi facciano loro del male. Prima o poi finirà tutto, lo so. Sì, lo so. E sai, c’è una canzone... sì, una canzone vecchia che tutte le ragazzine sapevano, una di quelle canzoni di quando non vedi l’ora di crescere e spogliarti da quei 13-14 anni per diventare “grande”. E poi quando sei “grande” ti accorgi che era molto più bello essere piccoli... perché forse lì si era davvero grandi... o almeno, i nostri sogni lo erano. E saper sognare era sì qualcosa di grande. Ora non so se ne sono capace. Ma torniamo alla canzone, diario, Marco, Marco, diario... non so neanche più a chi sto scrivendo dei due. Chissà se la conosci anche tu, era di Laura Pausini... e l’inizio, l’inizio è perfetto per te... continuo a riascoltarla e a stoppare dopo la prima


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frase, perché il resto non ti appartiene, è di un altro Marco che parla Laura. “Marco se n’è andato e non ritorna più...” La conosci, vero? E allora segui l’esempio del tuo omonimo, Marco, e sparisci. Vattene, non tornare più. (Senza) Gioia -Dai però! Non mi vuoi mai accompagnare, non è giusto! Il fratello di Elena la porta sempre, solo tu sei così cattiva! Ti odio! -Sofia, per favore, vattene. -No! Mi devi portare! Oddio, ora la uccido. Ma perché non capisce, perché? Io non riesco quasi a muovermi e a parlare, ogni volta che lo faccio mi sale questa voglia di vomitare, mi sento come se quella parte di Marco fosse entrata in me per sempre. E continuare a sciacquarsi la bocca non serve a niente, dopo milioni di tentativi ormai l’ho capito. -Daiiiii Gioiaaaaaa! -Sofia! Basta! Ti ho detto no, e smettila di urlare! Cala il silenzio e gli occhi le si riempiono di lacrime. Mi fa immensamente pena, ma non posso andare con lei, non ci riesco. Mi sento morta dentro. -Sofy, ascolta, non è che non voglio... è che proprio non posso, capisci? -Perché?- mi chiede con voce lamentosa. -Perché... perché no, ho da fare...- mi interrompo, guardando mamma spuntare sulla porta. -Che succede? Perché urli? -Mamma! Gioia non mi vuole accompagnare al parco da Elena! Mamma mi guarda inquisitrice:-E perché no? Cos’hai da fare? -Mamma, io...- le lancio uno sguardo supplichevole –ti prego... -No, ti prego io. Sai benissimo che io e tuo padre dobbiamo andare via adesso, e portarla al parco non ti costa niente. -Ma non può invitarla a giocare qui? -Perché, tu non puoi uscire di casa?- chiede lei, guardandomi incuriosita –Che hai? -Io? Niente, niente. È solo che non mi va. -Allora se è una questione di pigrizia ti muovi e vai, lo sai che non mi piacciono queste storie. Dimostrati matura, a te non costa niente. Ti


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porti un libro o qualcosa da fare e ti siedi sulla panchina mentre loro giocano. Devi solo lanciarle un’occhiata ogni tanto e stare attenta, lo sai. Non mi sembra ti richieda chissà che sforzo...!- conclude sarcastica. -E va bene.- sospiro, alzandomi. Sofia saltella tutta felice e mi abbraccia:-Grazie, grazie! Sei la mia sorella preferita! -E certo, sono l’unica... che poi, mica un momento fa mi odiavi? -Io?- mi fissa con gli occhioni spalancati –no! Io ti voglio taaaanto bene, lo sai! Sorrido scuotendo la testa:-Muoviti, dai... mi preparo anch’io in un attimo. Non finisco neanche di dirlo che lei corre a vestirsi. Mamma mi sorride e se ne va con papà, dicendo:-Ho parlato con Elisa, la mamma di Elena, e ha detto che stasera potreste fermarvi da lei a mangiare. Tanto noi non ci siamo, quindi mi raccomando... non essere scortese. -A cena da loro? Mamma, ti prego... -Gioia, dai, non fare la schizzinosa. -Ma neanche la conosco! -Appunto, impara a confrontarti di più con le persone, esci! -Ma se avrà 40 anni! -Ha un figlio della tua età o poco più grande, se non sbaglio... -Ah, sì? Wow... allora sì che sarà divertente... -Ah-ah. Che spiritosa. Buona serata. -Ma... ok, buona serata.- Ci rinuncio. Mentre andiamo al parco Sofia mi prende per mano sorridendo esageratamente. -Lo sai che c’è anche suo fratello, lo sai lo sai lo sai lo sai? -Sofia, me l’hai già detto. Il fratellino adorabile e perfetto che la accompagna dove vuole mentre io sono la strega cattiva e antipatica che non ti fa mai fare niente... giusto?- non posso fare a meno di essere ironica. -No, hai sbagliato! Invece io volevo solo dirti che è taaanto carino! Pensa, se voi vi fidanzate poi io vado sempre da Elena e lei viene sempre da me, e poi vi sposate e io e lei... -Sofy, ascoltami. Io sono f-i-d-a-n-z-a-t-a. Mi spiace per i tuoi progetti, ma non c’è spazio per un’altra persona. Quindi accontentati di Leo.che fortunatamente è figlio unico. -Non è vero, tu e Leo vi siete lasciati!- afferma trionfante.


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Mi blocco e la guardo:-Cosa? Chi...? Insomma, e tu che ne sai? -L’ho visto l’altro giorno mentre tornavo da scuola con Elena! Io l’ho salutato e lui mi ha preso in braccio e mi ha baciata sulla guancia- mi racconta tutta estasiata. Sofia ha sempre avuto un debole per Leonardo, che ricambia appieno l’affetto. Lui adora i bambini, e ha sempre sofferto per la mancanza di un fratello o di una sorella. -Poi gli ho chiesto perché non veniva più da noi e gli ho detto che tu sei tanto triste, che la mattina vai a scuola in bici perché lui non ti viene più a prendere, e lui mi ha detto- continua concitata, quasi senza fermarsi a respirare –lui mi ha detto che non può più venirti a prendere perché adesso siete solo amici. E quindi ho capito che vi siete lasciati! Oh, mi dispiace tanto. Però poi ho visto il fratello di Elena, e lo sai, è taaaanto carino! Non vedo l’ora di fartelo vedere, lo sai?- continua a dire saltellando. Ma io non l’ascolto quasi più. Sono furiosa. Come ha potuto andare a dire una cosa del genere a mia sorella? Perché è stato così incredibilmente immaturo? Non mi sembra vero. Ho quasi la tentazione di mandargli un messaggio, ma proprio in quel momento Sofia inizia a tirarmi per un braccio perché siamo arrivate e ha già individuato Elena. Una bambina graziosa con un giubbottino rosa a fiorellini le sorride, correndole incontro. I capelli scuri contrastano meravigliosamente con i grandi occhi azzurri, e non posso trattenere un sorriso nonostante i brutti pensieri. Che carina. Poi alzo gli occhi e il sorriso mi si pietrifica sulle labbra. Perché dietro di lei c’è Davide, con in mano un minuscolo cappellino rosa in tinta con il giubbotto della bambina, che mi guarda con gli stessi grandi occhi azzurri spalancati. Proprio in quel momento Sofia si gira verso di me gridando:-Ecco, è lui il fratello di Elena, Davide! Davide lei è mia sorella Gioia! Te l’ho detto che avevo una sorella! Conoscetevi conoscetevi dai!- strilla insieme a Elena, saltellando. Davide fa qualche passo verso di me, e per un attimo sogno di essermi sbagliata. Non riesco a muovermi mentre si avvicina e mi si para davanti. È proprio lui. -Ciao.- mormora, arrossendo. Già, piacere di conoscerti.


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Davide

Non riesco a crederci, mi sembra di vivere un incubo. Gioia è davanti a me, con quei lunghi capelli scuri che le scendono sulle spalle e un’espressione terrorizzata e allo stesso tempo disgustata sul viso. Ha le mani nelle tasche del giubbotto color ghiaccio e i jeans che le avvolgono le gambe tremanti. È immobile e mi fissa senza parlare. -Ciao.- riesco a mormorare, sforzandomi di non arrossire. Ma come potrei non farlo, come? Mi viene da ridere e allo stesso tempo da piangere per il nervosismo e la paura. Anche se so che tra i due la più spaventata è lei. La guardo e mi rendo conto ancora di più del male che le ho fatto, perché lei resta ferma come se si aspettasse una mia aggressione improvvisa. Automaticamente mi chiedo come posso sembrarle un tale mostro, ma poi mi dico che effettivamente io sono stato un mostro. E ora che è qui davanti a me mi chiedo come ho fatto a farle del male, come ho potuto. Immerso in questi pensieri, colgo lo sguardo incuriosito di Elena e di Sofia, la sua amichetta. Anzi, non solo la sua amichetta... ma la sorella di Gioia. Che strano scherzo del destino, vero? Già. Potrebbe essere un film romantico, e invece sembra un film dell’orrore. Peccato che la parte del killer la interpreto io, e lo scopro solo adesso. -Ti prego dimmi qualcosa, o almeno fai finta. Mia sorella e... e tua sorella ci fissano. Lei si volta lentamente a guardarle e i suoi occhi si posano sulla sorellina, che ci osserva incuriosita tenendo la manina stretta in quella di Elena, occupata a seguire il percorso di una formica sulle sue scarpe e incapace di toglierla. Vedo la formica salirle sulla gamba mentre altre due o tre la seguono, e mi slancio verso di lei per scostarle, con la mano alzata. Proprio in quel momento Gioia si gira con gli occhi spalancati verso di me, e fraintendendo il mio gesto scatta velocissima verso le bambine. È un attimo: la vedo afferrare sua sorella con uno strattone violento per farle lasciare la mano di Elena, e senza riuscire anche solo ad aprire la


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bocca è già scappata via, correndo all’impazzata con la sorella tra le braccia. Sofia ed Elena si guardano attonite incapaci di dire qualcosa, e io osservo i lunghi capelli di Gioia volarle sulla schiena prima di scattare nella sua direzione. -Gioia! Gioia! Fermati!- urlo correndo. -Vattene via! Non farai del male anche a LEI!- mi grida, stringendo convulsamente Sofia al petto, e scorgo anche da questa distanza l’ira e la paura nei suoi occhi. Poi si volta e continua a correre ancora più veloce, e ben presto la vedo sparire oltre il cancello del parco. Vorrei inseguirla ma non posso, c’è un gruppo di mamme che mi osservano curiose da una panchina, fingendo di chiamare i loro bambini per guardarmi meglio. Una continua a dire debolmente “Anna, Anna!” per ostentare disinteresse, ma non riesce a staccarmi gli occhi da dosso e non si accorge che sua figlia è al suo fianco da almeno dieci minuti, spazientita e con le mani sui fianchi, a dire:-Mamma ma che c’è, sono qui! Mammaaa! Le ignoro e mi volto verso Elena, ancora incredulo per ciò che è accaduto. La ritrovo in lacrime, con ormai un’orda di formiche che le è arrivata persino sul giubbotto. Mi avvicino di corsa e inizio a toglierle con colpi decisi, poi mi inginocchio di fronte a lei e i suoi occhioni azzurri inondati di lacrime mi inteneriscono all’istante. -Ehi, piccina, perché piangi?- le sussurro dolce, cercando un fazzoletto in tasca. –Sono solo formiche, le ho tolte tutte ormai... dai, su, ora basta... -No-non sono le fo-formiche il problema!-singhiozza disperata. Maledizione. -E cosa c’è allora?- fingo spudoratamente. Lei scoppia in lacrime e io sospiro, prendendola in braccio. Certo che sono proprio scemo, credevo anche di fregarla. -Sssh, dai, basta piangere adesso... Elena, dai... Sofia doveva andare via, non è successo niente, mica è colpa tua! -Ma è colpa TUA, infatti!- strilla con voce acutissima, tirandomi un pugno deciso sulla spalla. Accuso il colpo, che non fa male nemmeno la metà delle sue parole. -No, non è colpa mia... – mormoro, cercando di trovare in fretta una scusa. –E’ che Sofia doveva andare via e... e la sorella si è arrabbiata, perché non poteva restare qui a giocare con noi... capito?- so che è una scusa patetica, ma non mi viene in mente niente di meglio.


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Lei mi guarda confusa:-Dove doveva andare? Dio grazie, grazie perché ha solo 7 anni. Non cercherò più di farle capire che Babbo Natale non esiste, lo giuro. -Ehm... non lo so, forse dal dottore... che ne so, a te non l’ha detto?tento di sembrare curioso e convincente. -No.- la sua voce è glaciale quanto lo sguardo. Ma si può essere così autoritarie a soli sette anni? Avverto l’incredulità nel suo tono, e capisco di aver praticamente fallito. -Beh e si vede che è una cosa sua, non è che può dirti tutto...- riprovo. -Lei mi dice sempre tutto!- strilla furiosa, e io con lei. -Sssh, non ricominciare! Adesso basta, eh, stai esagerando!- lei si scioglie dal mio abbraccio e scivola a terra, continuando a fissarmi arrabbiata. -Ora io e te torniamo a casa e la smetti di fare queste storie, altrimenti lo dico alla mamma che stai diventando insopportabile! Su, andiamo!la prendo con decisione per mano e la trascino fuori dal parco, mentre lei piange in silenzio e mi ripete che sono il fratello più brutto e cattivo che esista. E io vorrei risponderle che si sbaglia, perché non faccio pena solo come fratello, ma proprio come persona. Perché gli ultimi istanti di quello che è successo al parco continuano a scorrermi davanti agli occhi come una pellicola mostruosa, e cammino fino a casa come in trance. Racconto a mia madre una storia confusa su Sofia che doveva scappare, un impegno urgente, e la sorella l’ha portata via di corsa. Questo basta a giustificare i capricci di Elena, che passano per bugie inventate per ripicca, ma mamma resta comunque accigliata e mormora con poca convinzione che è un peccato, lei aveva già iniziato a preparare per la cena. Ma io non l’ascolto, pensando che l’ho scampata, è vero, ma questo non serve a cancellare quello che è accaduto. Poi però guardo mia madre aggirarsi per la cucina continuando a dire:Che strano, eppure la madre di Sofia mi ha detto che lei e la sorella si sarebbero fermate qui a cena da noi... forse dovrei chiamarla...che ne pensi? -Eh? -Davide, mi ascolti? Ti sto dicendo che stasera sarebbero dovute rimanere qui a cena, che strano... forse è successo qualcosa, dovrei provare a chiamare Daniela... -Daniela? -Ma sì, Davide, la madre di Sofia!


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Improvvisamente registro l’informazione:-A cena qui? G-gioia...cioè, Sofia e la sorella? -Sì, esatto! Davide insomma, ma dove sei con la testa? Non ti ricordi che dovevano venire qui? Te l’avevo anche detto! Ha ragione, ma dopo aver scoperto che “la sorella di Sofia” era Gioia me n’ero completamente dimenticato. E come glielo spiego? Sento tutte le mie bugie crollare. -Eppure se tu dici che c’è stato un impegno... chissà, forse aveva dimenticato di dirmelo... però è assurdo...- mamma continua a scervellarsi, e subito la preoccupazione ha la meglio su di lei. –Bene, io provo a chiamare Daniela, non si sa mai. -No, mamma, che la chiami a fare? Insomma, se aveva degli impegni non è colpa sua, no? -Ma che dici, magari è successo qualcosa... che ne so, Davide, è meglio stare sicuri... ora provo a sentire Daniela. -La chiamo io!- mi offro immediatamente, cercando di distrarla, con il cervello che lavora all’impazzata nel tentativo di mettere insieme una scusa decente. Posso fingere che si sia sentita male, o davvero che c’era chissà che visita dal dottore o... -La chiami tu? Ma se neanche la conosci, non fare lo stupido!- mamma ride, e mi scosta di lato con decisione. -Ma conosco la sorella, Gioia!- dico senza riuscire a fermarmi. -Come, la conosci?- mamma si blocca. -Siamo in classe insieme! Mamma si volta stupita verso di me, e capisco che finalmente sono riuscito a catturare la sua attenzione... una volta tanto con la verità. – Davvero? In effetti Daniela mi aveva accennato di sua figlia più grande al liceo... però non abbiamo mai approfondito...- improvvisamente sorride, esaltata –ma è magnifico, no? Com’è questa ragazza, dimmi un po’... se vi conoscete anche tra di voi Elena e Sofia potranno giocare insieme mentre voi magari studiate! Oddio. Questo è un incubo vero e proprio. -Boh mamma non è che parliamo tanto, sai...- già, in effetti non parliamo affatto. E se ti dicessi il perché, mamma, credo che il tuo cuore non reggerebbe il colpo. O forse non crederesti davvero che questo ragazzo qui davanti a te, il tuo adorato “bambino”, è un mostro di tale portata. Sento un groppo alla gola, ma cerco di trattenermi: ogni volta che penso a quello in cui sono coinvolto mi sale la nausea. Mamma mi osserva incuriosita, e dice con tono complice:-Ah-ah, ti vergogni eh?


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-Macché mamma, non è come pensi tu...- è infinitamente peggio, anzi. Cerco di deglutire ma è come se avessi un tizzone ardente incastrato in gola, e più mi sforzo di apparire rilassato più lo sento bruciare. -Chissà...- lei sorride, senza avere la minima idea di quello che sta accadendo. E guardando il suo sorriso speranzoso il terrore stampato sul volto di Gioia invade di nuovo la mia mente, come se fosse sullo schermo gigantesco di un cinema. I suoi occhi spalancati dalla paura, le labbra socchiuse in un grido che non riesce a venire fuori, le mani strette intorno ai fianchi di sua sorella, nello sforzo disperato di salvarla dal mostro che opprime lei. Tento disperatamente di riscuotermi dai miei pensieri, e incrociando gli occhi di mamma prendo una decisione: devo parlarle. -Mamma, senti... vado io da lei. -Come, vai da lei?- non posso fare a meno di notare il tono divertito, e so cosa sta immaginando mentre sento un lieve rossore diffondersi sulle guance. -Sì, insomma, da... da Sofia. Non c’è bisogno che chiami, vado un attimo io e... e poi ti dico, ecco, se vengono a cena... o no.- farfuglio, gesticolando nel tentativo di spiegarmi. -Ma... non sarebbe meglio chiamare? -No, mamma, abita poco lontano... vado io, preferisco così. -Aaah, certo...- lei ride e mi da un buffetto, e i miei peggiori sospetti sono confermati: pensa che a me piaccia Gioia. Con un sorriso tremante e sentendomi il cuore ormai disseminato in pezzettini sul pavimento, la saluto e fingo di uscire allegramente. Appena mi chiudo la porta alle spalle respiro a fondo, chiudendo gli occhi, e il viso di Gioia si impossessa subito della mia testa. Devo porre rimedio a tutto questo, lo so. E parto verso casa sua speranzoso, cercando parole che forse non troverò mai.


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Leonardo

Sono seduto al tavolino di un bar e non riesco a cancellarmi un sorriso amaro dalla bocca nel guardare un uomo al tavolo di fianco osservarci incuriosito. Perché le donne devono sempre fare così tanto chiasso? Guardo Stefania, Danila e Chiara e mi sporgo verso di loro: -Ragazze vi prego, non potreste fare un po’ meno baccano? Sapete com’è, non è troppo divertente che tutto il mondo sappia cosa mi è successo...ammicco impercettibilmente verso l’uomo dell’altro tavolo, e le tre teste si voltano a guardarlo palesemente. Lo sapevo che sarebbe stato uno sforzo inutile. -Perché, che male c’è se ascolta? Sai quante volte sarà stato lasciato anche lui! Se è lì da solo, in fondo, ci sarà un perché...- dice Stefania a voce abbastanza alta, la più sfacciata delle mie tre amiche. Io fingo di non aver sentito e guardo da un’altra parte, sperando che quell’uomo faccia lo stesso senza far caso a una donna senza peli sulla lingua. Intanto Chiara mi guarda come se davanti agli occhi avesse un cane abbandonato, e il suo sguardo di compassione mi fa sentire ancora peggio. -Leo guarda, a me dispiace...- il vantaggio di avere amiche donne è che quando vieni lasciato si fanno in quattro per consolarti -...però non posso dire che non me l’aspettavo.- o per distruggerti. Sospiro e tormento con le dita il tovagliolino: -Figuriamoci... il vostro fantastico sesto senso, immagino? -Ma no, Leo! E’ che non poteva funzionare, dai... io te l’ho sempre detto che era troppo piccola, solo Danila la difendeva! -Beh gli date tutte contro, per forza dovevo farlo!- risponde la diretta interessata, sollevando la sigaretta in un gesto di stizza e facendo ricadere un po’ di cenere sulla borsetta. Non se ne accorge e preferisco non dirglielo, non sopporterei di vederle urlare come ossesse per un po’ di polvere e farsi venire una crisi isterica. -Ah grazie, l’hai fatto solo per questo?- replico io. Lei si stringe nelle spalle e Stefania risponde per lei: -No, te lo dico io perché ti ha difesa... è stata con uno di tre anni più piccolo!


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-Veramente Giovanni aveva solo due anni e quattro mesi meno di me! -Appunto, due anni e mezzo, tre... cosa vuoi che cambi, era comunque piccolo! -Intanto era maturo! -Dani, ti prego... -Ragazze vi prego, non ricominciamo... volevo solo un consiglio, non una rimpatriata in ricordo dei vostri ex! -Hai ragione Leo, però noi ti abbiamo detto come la pensiamo, sei tu che non vuoi ascoltarci...- replica Chiara, prendendo un salatino dalla piccola ciotola bianca al centro del tavolo. -Ma perché non riesco a capacitarmene... andava tutto così bene, fin troppo bene... -Tesoro- un risolino malizioso esce quasi involontariamente tra le labbra perfettamente ricoperte di rossetto di Stefania –è risaputo che le cose belle finiscono sempre! -Credevo che con lei fosse diverso... -Lo credono tutte le coppie, Leo. -Già- aggiunge Chiara, ripulendosi le mani dalle briciole dei salatini –vi credete tutti così speciali, così diversi dal resto del mondo...- la sua voce si fa quasi disgustata, come se tutta quella dolcezza le fosse completamente estranea. E in effetti, penso, è davvero così da quando è finita la sua ultima storia, durata quattro anni. -Ma è normale se sei innamorato! -Dani, ti prego... -Ma come Dani ti prego, guarda che è così! Forse voi parlate da disilluse, però quando sei innamorato è naturale pensarla in questo modo! -E questo significa forse che è giusto? -Dipende se ragioni da innamorato o da single. Stefania sbuffa, guardando da un’altra parte, e io sorrido con gratitudine a Danila. -Magari tornerete insieme, vedrai... in fondo è normale che alla sua età si abbiano certi sbandamenti... li hanno tutti.- continua fiduciosa. -Tutti tutti direi proprio di no, perché io non ho mai tradito il mio ragazzo con un altro...- afferma Chiara spavalda. Le nostre sopracciglia si alzano quasi contemporaneamente e la fissiamo. Lei arrossisce e borbotta: -Beh, sarà capitato forse... insomma, in qualche rara occasione...- e noi scoppiamo a ridere. –Oh ragazzi, alzi la mano chi non ha mai tradito allora!


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Immediatamente la mia mano scatta verso l’alto. Ora sono loro a guardarmi con le sopracciglia sollevate. -Che volete? Non ci credete? -Considerando il fatto che Martina ti ha lasciato perché ti ha trovato a letto con un’altra, e che a 17 anni durante la nostra erronea liaison di breve vita ho provato anch’io il piacevole brivido di sorpresa nel trovarti con mia sorella... direi che no, non ti credo. Sento le guance bruciare al ricordo di quegli spiacevoli momenti passati ed evito lo sguardo di Stefania. Poi però mormoro:-Andiamo, avevo solo 17 anni... -Perché, nel frattempo sei cresciuto?- mi prende in giro lei, e per un attimo i suoi occhi brillanti mi trafiggono dentro. Ma ci sono altri occhi che non posso dimenticare. Salgo in macchina e respiro a fondo, accendendomi una sigaretta. -Pensavo avessi smesso.- mi dice Chiara stupita. -Infatti, questa è la prima dopo anni...- rispondo partendo. Immediatamente mi viene tolta di bocca e gettata con decisione fuori dal finestrino da Stefania, che si è messa di fianco a me. -Grazie eh, ho sempre saputo che mi leggevi nel pensiero. -Senti Leo non rompere, se hai quel pacchetto lì pronto significa che una ogni tanto te la fumi... e poi ricominciare per questo non ha senso. -E buttarla ha un senso? -Beh in effetti ora che ci penso avrei potuto fumarla io, ma lanciarla fuori era più teatrale... Chiara e Danila ridono insieme a lei, mentre io continuo a guidare con lo sguardo cupo. -Dai Leo, riprenditi! -Sì, certo... parli tu che hai perso un anno di università per stare dietro a quel cretino di Londra... com’è che si chiamava? -Chi, Peter? -Ah, sì, Peter! Il fantomatico “uomo della mia vita”! -Cavolo, sembra passato un secolo... ti ricordi, Chiara? -Sì, in effetti diceva proprio così...- risponde sorridendo, e io arrischio un’occhiata nello specchietto incontrando lo sguardo di Danila, a metà tra il divertito e l’arrabbiato. -Va beh ho sbagliato, può capitare... però ho trovato il modo per approfondire la conoscenza dell’inglese in quegli otto mesi! -Seeeeeh, come no! Una lingua sola otto mesi? Che palle! -Sei la solita, Ste... veramente!- ridono le altre due.


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-Diciamo che sono sincera... no?- Stefania mi guarda, aspettando una risposta che non arriva. –E dai, mummia, riprenditi un po’! -Sì, sì, voi continuate a rimembrare gli ex... che io penso alla mia... Improvvisamente Chiara torna seria:-Ma perché, ora che vuoi fare? -Ah sicuramente prima vi riporto a casa, non vi sopporto più- scherzo io. -E poi?- i loro occhi truccati si volgono verso me, lo percepisco anche senza guardarle. -E poi... beh, poi vado da lei. Si ammutoliscono, e so che si stanno scambiando occhiate indecifrabili. -Sì ma anziché usare la telepatia perché non mi dite cosa ne pensate? -Tu portaci a casa, poi lì ne parliamo tra di noi ad alta voce. -Con me? -Ovviamente... no. -Scendere, prego.- fingo di accostare e loro lanciano gridolini di divertimento, tirandomi manate sulla schiena e riuscendo finalmente a farmi ridere. -Però da lei ci vado veramente, non scherzo. -In bocca al lupo, allora! -Lunga vita al lupo... ...e speriamo anche al mio cuore massacrato.


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Gioia

I miei passi echeggiano sulla strada, e stringendo più che posso Sofia per non farla sbalzare durante la corsa sento il fiato mozzarsi e il cuore accelerare i battiti. Devo fermarmi, ormai siamo lontane, non può avermi seguita fin qui. Rallento e cerco di riprendere fiato, ma Sofia è pesante e le mie braccia non la reggono più. Mi assicuro che non ci sia nessuno dietro di noi, e finalmente la lascio con sollievo. Lei continua a piagnucolare e mi chiede perché siamo andate via così, e capisco che è spaventata. Prendo un fazzolettino e le asciugo le lacrime, senza rispondere. Poi le stringo la mano nella mia e camminiamo insieme fino al cancello, in silenzio, anche se ogni tanto lei lo rompe con i suoi singhiozzi. Cerco frettolosamente le chiavi in tasca e quando finalmente richiudo il cancello dietro di noi mi sento meglio, improvvisamente più al sicuro. Sofia mi osserva con gli occhioni umidi e sento il cuore stringersi dalla paura al pensiero di quello che sarebbe potuto accaderle. Le accarezzo i capelli e la spingo dentro casa, mentre gli ultimi avvenimenti mi scorrono nella testa come un film. Davide... una sorella! Non posso crederci. Avevo quasi smesso di considerarle persone, quei mostri, e ora vedere uno di loro con una famiglia, una sorellina e probabilmente dei genitori a casa ad aspettarli mi sembra fantascienza. Come può un essere del genere avere una sorella? Come può vivere una vita normale e allo stesso tempo farmi tutto questo? Come possono essere... umani, umani anche loro? Il viso di quella bambina stupenda mi riempie la testa, e con una nuova, orribile stretta al cuore penso a quello che potrebbe averle fatto Davide. Oddio, e se tratta così anche quella povera piccolina? “Io lo denuncio”, penso in un impeto di rabbia. Immagini sconvolgenti di Davide che minaccia Elena mi invadono, e resto pietrificata dall’orrore. Devo sapere. -Sofia. Sofia mi guarda, ancora tremante.


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-Senti ma... cosa dice Elena di Davide?- cerco di dare alla mia voce un tono casuale. -Perché? -Rispondimi, Sofy, per favore... è una cosa che mi serve sapere... Il suo labbro inferiore inizia a tremare, ma appena mi avvicino con un sorriso si calma e mi dice:-Ma Davide è bravo, lui ci fa fare tutto quello che vogliamo... gioca sempre con noi, mica come te!- la sua voce diventa sempre più acuta a ogni parola. Resto un attimo a fissarla e in effetti penso che è più probabile che sia così, forse a casa Davide è il tipico bravo ragazzo da cui non ti aspetteresti mai nulla di male. E invece... Abbraccio Sofia, spaventata, e lei si stringe a me con altrettanta foga. -Ma perché siamo andate via? Che è successo? Silenzio. Rifletti, rifletti, rifletti. Andrà bene qualsiasi cosa, ha solo 7 anni... pensa. -Perché ho dimenticato una cosa. -Cosa? -Niente. -Come niente?- inizia a spazientirsi, ma la mia mente è vuota e non riesco a inventare nulla. In quel momento sento un rumore di chiavi e la porta si apre improvvisamente. Non riesco a impedirmi di urlare, e salto in piedi spaventata. Dalla porta fa capolino il viso di mamma, preoccupato, e quello di papà spunta subito dietro di lei. -Gioia? Ma... che succede? -Oddio mamma... papà... scusate, scusatemi, io... mi sono presa un colpo. -Beh anche noi, sai, credevamo foste al parco. -Sì... ecco... ci siamo andate ma siamo tornate subito, mi ero dimenticata... il cellulare.- dico frettolosamente, prima che Sofia possa aggiungere qualsiasi cosa. Mamma scuote la testa:-Sei sempre sbadata, vorrei sapere cosa ti passa per la mente... Lo sguardo indagatore di papà si volge su Sofia, e sento che sta per chiederle cos’ha. È raro che mia sorella sia così silenziosa, e prima che si allarmino domando:-Ma voi perché siete tornati? Non dovevate stare fuori fino a stasera? -Beh sì, ma Roberta non si sente tanto bene e così siamo stati costretti a rimandare... purtroppo ce l’ha detto solo quando eravamo a metà strada, ma abbiamo deciso di tornare comunque indietro.- mi spiega mamma,


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passandosi una mano tra i capelli. Un’ombra di delusione le attraversa il viso, e mi sento dispiaciuta perché so che ci teneva a passare una serata con questa sua amica. -Però non posso permettere che la tua mamma abbia sprecato ore e ore di preparativi per una serata sfumata... quindi- aggiunge papà con un sorriso, mettendole una mano su un braccio e spronandola a ricambiare il sorriso –stasera credo proprio che usciremo comunque. Gli occhi di mamma si riaccendono e li vedo scambiarsi uno sguardo carico d’affetto. I miei orribili pensieri svaniscono per un attimo di fronte a quella scena, e la voce di Sofia rompe l’incanto dicendo:Allora noi andiamo da Elena a mangiare! -Cosa? Ah, tesoro, certo!- papà le sorride, distogliendo lo sguardo da mamma. Il sangue mi si gela nelle vene:-No, no, dai... restiamo qui. Insomma, prendiamo due pizze noi... ecco... non c’è bisogno... -Ma no, Gioia, io comunque mi ero già accordata con Elisa... andate da lei. -Ma mamma... non è il caso... -Come non è il caso? Ma certo che sì, l’avevo promesso anche a Sofia! Sospiro, e mi accorgo di stare tremando. -Mamma... per favore... non credo che- inizio a dire, ma il citofono mi interrompe. Lei mi scocca uno sguardo strano e va verso il citofono senza dire una parola. Resto per un attimo a fissarla, senza parlare, poi mi volto per andare in camera nella speranza di trovare lì la vera me stessa, quella addormentata, che non ha davvero vissuto tutto questo incubo. Ma appena mi richiudo la porta alle spalle la verità mi crolla addosso, riducendo in briciole anche quell’ultimo filo di speranza, e mi costringo ad ammettere che quell’altra me stessa addormentata, ignara e felice, esiste solo nei miei sogni.


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Davide

Un calcio, e poi un altro e un altro ancora. Guardo il sassolino che sto torturando rimbalzare in mezzo alla strada, e senza pensarci lo raggiungo per calciarlo di nuovo, fissandolo. Il rombo di una moto mi perfora le orecchie e prima che possa fare qualunque cosa la vedo sfrecciare verso di me. Resto paralizzato dalla paura, e il conducente sembra spaventato quanto lo sono io mentre piega a sinistra con forza per evitarmi. Poi riparte sgommando con un colpo di clacson, e gesticola furioso nella mia direzione urlando parole che non riesco a cogliere, ma che posso benissimo immaginare. Sì, in effetti sono un deficiente. Qui in mezzo alla strada a prendere a calci un sasso, e scampato a una bestia a due ruote per miracolo... o meglio, per prontezza di riflessi del tizio. Scuoto la testa e tiro con forza un altro calcio al sassolino, osservandolo finire in una pozzanghera. Ecco, ora sarei tanto stupido da bagnarmi pur di continuare a sfogarmi su una pietruzza, ma un po’ di buonsenso si fa sentire ed evito, spostandomi di nuovo sul marciapiede. Peccato, ora non ho più niente con cui sfogarmi, ma alzando gli occhi mi rendo conto di essere arrivato a destinazione. “È questa casa sua?”, mi chiedo osservando il sentiero che si distende oltre il grande cancello scuro. Villette a schiera color panna si stagliano grandiose all’interno del parco, e resto per un paio di minuti a guardare i giardini curati e le macchine parcheggiate lungo i vialetti. Mi avvicino al cancello e circa un centinaio di piccoli cartellini lucidi si stagliano di fronte a me, sormontati da una grossa telecamera assicurata dietro una lastra di vetro. Oh no, hanno anche il videocitofono. Sospiro e inizio a cercare il suo cognome tra le tante etichette, ma ho lo sguardo annebbiato. Non riesco a non pensare che presto il mio volto comparirà in uno di quei piccoli televisori che queste persone hanno in casa, e Gioia vedendomi non risponderà. Un rumore di passi alle mie spalle mi riscuote, e voltandomi vedo un ragazzo biondiccio dall’aspetto determinato venire verso di me. Lui


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sembra non notarmi neanche, con le mani nelle tasche e gli occhi fissi alle villette. Mi giro di nuovo e cerco di concentrarmi sui cognomi, ma non riesco a trovare il suo... diamine, perché sono così tanti in questo parco? Avverto la presenza del ragazzo dietro di me, il suo nervosismo ora è quasi palpabile. Mi chiedo se sia il caso di farlo passare, magari ha fretta, ma mentre mi invadono questi pensieri gentili lo trovo. Finalmente! Dopo un secondo di esitazione suono, e guardo dubbioso la telecamera senza riuscire a smettere di pensare al viso di Gioia nel momento in cui mi vedrà. Una voce di donna mi risponde incuriosita:-Sì? -Ehm... buonasera, sono... sono Davide... c’è Gioia? -Sì, c’è...- dice titubante la donna, probabilmente sua madre, e so che sta cercando di capire chi diavolo sia io –un attimo, arriva subito. -Grazie...- mormoro, sentendomi osservato da occhi invisibili, ed evito accuratamente di guardare dritto nella telecamera. Mentre aspetto mi chiedo se ho fatto bene a dire il mio nome anziché presentarmi diversamente, ma poi penso che non avrei potuto dire niente di più. Un amico, forse? Già, certo, una cosa più falsa e peggiore no... Poi mi ricordo del ragazzo dietro di me che aspettava, e mi giro dicendo:-Scusami, devi citofon...?- mi interrompo: dietro di me non c’è più nessuno. Vedo una sagoma in lontananza camminare a passi svelti, e se possibile ancora più nervosi di prima. Resto per un po’ a osservarlo incuriosito, poi mi giro e ritorno a fissare la telecamera, in realtà senza vederla. Che strano... sembrava avesse anche lui un bisogno urgente di parlare con qualcuno.


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Gioia

-Gioia! È per te!- la voce di mamma riecheggia dal salone. “Per me?”, penso stupita. E chi potrà mai... no! Un orrendo pensiero mi travolge e l’immagine di due occhi azzurri mi ghiaccia all’istante. Ma no, non può essere lui... e se fosse Leo? Il cuore fa un saltello speranzoso. -Gioia! Allora, ti muovi? -Eccomi, eccomi!- dico, correndo fuori dalla stanza. Ma appena vedo quel viso nel piccolo schermo sotto il citofono mi blocco, e il cuore sprofonda diventando di marmo. Resto immobile a qualche metro dal citofono, senza staccare gli occhi da quel volto, e sento il viso accalorarsi dalla rabbia, dettata anche dalla mia stupidità. Come potevo credere che fosse Leo? Ma soprattutto... con quale coraggio lui si presenta qui? -Gioia...? Che ti prende?- mamma mi guarda incuriosita, e interpreta erroneamente il mio improvviso rossore. Poi mi porge il ricevitore e attende, mentre io sbraito:-Cosa vuoi? Vedo Davide sussultare e nello stesso momento mamma solleva le sopracciglia, scandalizzata. –Ma ti sembra il modo di rispondere?bisbiglia furiosa, ma io la ignoro. Dopo un attimo di silenzio imbarazzato lui cerca di fingersi tranquillo:Ciao... ehm... puoi... puoi scendere? -No.- fisso con odio la sua immagine e sento la rabbia dibattersi dentro me come il mare in tempesta. Il suo viso si rattrista di colpo per la mia risposta dura, ma cerco di non impietosirmi. Non posso provare compassione per questo schifoso essere. E non riesco a credere che sia addirittura venuto fin qui, dopo quello che è accaduto. Silenzio. -Senti, io... davvero... devo spiegarti delle cose... importanti...comincia, incerto. -Davvero? Beh... io no. -Gioia, per favore, ascoltami... questo potrebbe cambiare tutto, se solo tu mi ascoltassi...


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-Certo, immagino come.- il mio tono di voce è duro, brutale. Voglio ferirlo, voglio fargli male almeno quanto lui ne ha fatto a me. E guardarlo da casa mia, al sicuro, mi dà una forza che normalmente non avrei. -Ti prego...- i suoi occhi sono di nuovo fissi nella telecamera, desiderosi di guardare oltre e di trovare i miei. Un piccolo brivido mi attraversa e sento il cuore sciogliersi lentamente. Dio, ma come posso provare qualcosa del genere? Come posso avere compassione di un mostro? Sono impazzita, lo so. Chiudo gli occhi per un attimo nel tentativo di ricompormi, ma riaprendoli vedo mamma al mio fianco, più curiosa che mai, che cerca di capire cosa stia succedendo. Prima che possa chiederle di andare via Sofia entra di corsa nella stanza, chiamando mia mamma a gran voce. -Mamma, mamm... ma... ma quello è Davide!- strilla con la sua vocina acuta, e con orrore crescente vedo l’ombra di un sorriso sul viso di Davide che ha sentito tutto. Mia madre mi guarda e poi fissa Davide nel televisore, per tornare infine a guardare Sofia. -Davide, tesoro? Il fratello di Elena? -Sì, sì! E’ Davide, mamma! Oddio, no. Non sta succedendo realmente. -Gioia ma... che aspetti, fallo entrare! E poi perché l’hai fatto venire fin qui, poverino, non poteva aspettarti al parco mentre prendevi il cellulare?- mamma continua a parlare incredula, fissando ora Davide ora me. Ho la sensazione di sprofondare, come se un masso enorme premesse sulla mia schiena nel tentativo di schiacciarmi. -No...- sussurro, ma poi mi schiarisco la voce e dico con decisione:-No mamma, è che lui stava andando via... non può... vero? Gli occhi di Davide sono nuovamente attraversati da un velo di tristezza, ma un attimo dopo anche lui si fa determinato e dice:-Se mi ascolti, me ne vado. Non prima. Porca miseria. Mi giro nervosa verso mamma, che aspetta interessata che le riferisca cos’ha detto. Cosa fare? Non posso farlo salire, ma se non lo faccio cosa succede? Cosa dico a mamma? Di nuovo sento la mente svuotarsi, e mi rendo conto che non ho scelta. -Arrivo.- gli sibilo furiosa, e rimettendo a posto il ricevitore fermo mamma prima che possa parlare:-No, è meglio che scendo io. ...CONTINUA


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